Umberto Santino: I padrini al Cremlino. Le mafie in Russia e nei paesi ex socialisti
Premessa
Se fino a qualche anno fa l’immaginario collettivo era dominato dall’immagine della Piovra, metafora zoologica e mediatica della mafia siciliana, adesso si sta imponendo un nuovo protagonista del crimine internazionale: la mafia russa. Boris Eltsin nel febbraio del 1993, alla conferenza nazionale sulla lotta al crimine, aveva dato l’annuncio: «Stiamo superando Paesi come l’Italia, che sono stati sempre in prima linea. Abbiamo strutture mafiose che stanno letteralmente corrodendo la Russia da cima a fondo» (Violante 1994, p. 212).
Sulla scorta di dichiarazioni di pentiti e di alti dirigenti delle agenzie anticrimine internazionali si è fatta strada una nuova certezza: con la caduta del socialismo reale è nata, per la prima volta nella storia, l’Internazionale mafiosa (Sterling 1994, p. 4).
Così la mafia russa sarebbe la mafia più potente, il nuovo Number One del crimine organizzato, e tutto il pianeta sarebbe sotto il controllo di un supervertice criminale, una sorta di G7 del malaffare, di politburo o consiglio di amministrazione dell’imperialismo mafioso.
Cosa c’è di vero dietro le iperboli che già prima caratterizzavano le rappresentazioni dell’universo criminale e negli ultimi anni si sono ulteriormente ingigantite? Volendo stare con i piedi per terra, dobbiamo partire da alcuni dati certi o da informazioni in qualche modo documentabili. Possiamo considerare come informazioni attendibili:
- il diffondersi di attività criminali e il proliferare di organizzazioni criminali in Russia e nelle altre repubbliche della CSI;
- l’attività di gruppi criminali russi ed ex sovietici a livello internazionale, in collaborazione con altri;
- l’attività di gruppi criminali stranieri in Russia e negli altri Stati della Confederazione;
- il diffondersi delle attività illegali e di gruppi criminali nei Paesi ex socialisti.
Attività e organizzazioni criminali in Russia, nella CSI e nei Paesi ex socialisti
Scendendo più in dettaglio, secondo le statistiche giudiziarie, nel territorio russo i delitti hanno avuto in incremento notevole negli ultimi anni. Sono aumentati gli omicidi (32.000 nel 1994, più del 10,5% rispetto al 1993, e nei primi due mesi del ’95 sono stati 5.146) e i reati violenti, i rapimenti, le estorsioni (8.014 casi nel 1994 contro i 5.566 nel 1993); i crimini economici (falsificazioni di denaro e di titoli, transazioni valutarie illegali, esportazioni di capitale) in alcune aree sono aumentati del 200%; si sono diffusi sempre di più i traffici illeciti di droghe, armi, materiale nucleare (Fituni 1996, Cusano-Innocenti 1996).
Tra le vittime di omicidi troviamo politici, banchieri (una media di dieci al mese negli ultimi due anni), imprenditori (170 uccisi nel 1994), commercianti, giornalisti, ma pure anziani alcolizzati a cui sono stati tolti gli alloggi con un raggiro. Dal 1992, anno d’inizio della privatizzazione, al 1994 sono “scomparsi” 28.000 proprietari di case, molti dei quali avevano appena firmato un contratto di compravendita (Fracassi 1995, p. 13).
Tutto ciò in un contesto di illegalità diffusa e di grande insicurezza della vita quotidiana, per cui – se le cronache non calcano le tinte – può capitare di prendere un taxi all’aeroporto e di trovarsi in mutande in una zona spopolata.
Secondo fonti ufficiali, nel 1994 operavano in Russia circa 5.700 gruppi criminali (erano 4.352 nel 1993 e 1.641 nel 1990), con circa 100.000 affiliati e 18.000 con funzione di leaders. Nel corso di un convegno sul crimine organizzato russo-euroasiatico, svoltosi a Mosca nell’agosto 1993, il ministero dell’Interno russo dava una mappa delle organizzazioni criminali: 275 erano considerate a dimensione regionale, 168 operavano a livello internazionale, 150 erano costituite da più gruppi alleati, altre 150 avevano base etnica (Cusano-Innocenti 1996, p. 210). Le persone coinvolte in attività criminose come fiancheggiatrici sarebbero circa 3 milioni. Nel frattempo, con ogni probabilità, queste cifre sono aumentate.
I gruppi criminali sono organizzati in vari modi, in forma più o meno rigida, con gerarchie interne, o senza regole precise e con una forte dinamica aggregazione-disgregazione. Alcuni sono eredi di organizzazioni del passato (il riferimento obbligato è ai cosiddetti “ladri nella legge”, una setta segreta attiva già dagli anni ’20) e le mafie etniche (georgiana, cecena, azera, usbeca etc.) operavano già in epoca precedente e si sono sviluppate ulteriormente soprattutto nelle aree di crisi, segnate da conflitti e guerre civili, ma si sono spostate sempre più verso Mosca, ritagliandosi un loro spazio, collaborando con i gruppi locali o scontrandosi con essi.
Altri gruppi sono nuovi e in continua evoluzione.
Le organizzazioni criminali svolgono varie attività: estorsioni, prostituzione e tratta delle bianche, omicidi su commissione (vi ricorrono soprattutto gli imprenditori per eliminare i concorrenti e nel 1995 l’Associazione russa degli imprenditori si è vista costretta ad inserire nel codice di condotta l’impegno a «non usare la violenza o la minaccia della violenza come strumento per conseguire i propri obiettivi imprenditoriali»: Cusano-Innocenti 1996, p. 211), furti di auto e di oggetti d’arte e d’antiquariato, traffici di supefacenti (cannabis, oppiacei, droghe di sintesi), di armi (nel ’93 ci sono stati 6.430 furti in depositi di armi, erano stati 3.923 nel ’92) e di componenti d’arma, di uranio e altro materiale nucleare, esportazione di capitali e riciclaggio del capitale illegale, gestione di case da gioco (a Mosca ci sono più case da gioco che a Las Vegas: 31 contro 25).
I rapporti con l’economia legale, con il mondo politico e le istituzioni, risultano da varie fonti, anche se in buona parte giornalistiche. L’80% delle imprese privatizzate, degli alberghi e dei servizi sarebbe nelle mani dei gruppi criminali con la compartecipazione di ministri, politici e uomini di potere. In particolare le mafie russe controllerebbero il 35% delle banche, circa 2.000 imprese statali e quasi la metà di quelle private. Si è parlato di 8 potentati economici (“le otto sorelle”) formatisi sotto la protezione di Eltsin (Cusano-Innocenti 1996, p. 211).
Secondo un rapporto del generale Yegorov, capo del Dipartimento per il controllo del crimine organizzato del Ministero dell’Interno, molti gruppi criminali hanno al loro interno funzionari pubblici. Per quanto riguarda i rapporti tra mafie e potere nelle repubbliche ex sovietiche, ci limitiamo a qualche esempio. In Georgia la mafia è presente ai più alti livelli del potere: l’ex vice primo ministro Iosseliani era notoriamente un padrino, con una propria milizia privata, e i beni di prima necessità sono sotto il controllo di gruppi mafiosi (OGD 1995, pp. 36 ss.). Anche se l’accusa di mafiosità nei confronti dei ceceni è dettata da motivi strumentali, il conflitto incentiva il traffico di droga e l’attività delle organizzazioni criminali.
I gruppi criminali russi ed ex sovietici da alcuni anni operano all’estero. La loro presenza è documentata in vari Paesi europei: Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Inghilterra, Svezia, Cipro; in Italia è certamente eccessivo il dato fornito da fonti ufficiali, secondo cui vi opererebbero circa 60 gruppi russi.
In parecchie città americane gang russe compaiono già negli anni ’80 e i loro affiliati venivano descritti come i criminali più violenti che ci fossero mai stati in America. Le loro file si sono ingrossate negli ultimi anni e le attività vanno dalle truffe al traffico di droghe, agli omicidi su commissione. In Estremo Oriente sono presenti a Hong Kong, Macao e in Giappone.
Operano in Russia e nella CSI varie organizzazioni straniere, sfruttando le enormi convenienze offerte dall’apertura dei confini e dalla situazione che si è venuta a creare dopo la caduta del socialismo reale. È documentata l’attività delle principali organizzazioni: la mafia siciliana, la ‘ndrangheta, la camorra, la mafia turca, le triadi cinesi, i cartelli colombiani, i trafficanti di droga pakistani, iraniani e afghani.
Summit tra mafiosi siciliani e russi si sarebbero svolti a Varsavia nel marzo 1991 e a Praga nell’ottobre 1992, per prendere accordi sul traffico di droghe, sul riciclaggio del denaro sporco e per «creare degli squadroni della morte, costituiti principalmente da uomini dell’ex Kgb, gli stessi che controllano il traffico di droga proveniente dall’Iran e dall’America Latina» (“Courrier International”, 8-14 settembre 1994; Fituni 1993).
Nel febbraio del 1993 a Sverdlosk, a mille chilometri da Mosca, al centro del complesso militare-industriale ex sovietico, si è scoperto che la Banca internazionale della Russia meridionale era creazione di un mafioso siciliano e di un socio americano (Sterling 1994, p. 171 s.).
Tra le repubbliche della CSI, l’Ucraina, l’Azerbaigian, l’Uzbekistan, il Kirghizistan, il Tagikistan sono coltivatori di papavero da oppio e di cannabis e il Kazakistan e soprattutto il Tagikistan, per la sua vicinanza con l’Afghanistan, sono dei crocevia del traffico di eroina per il consumo nell’ex URSS e in Europa. Anche nelle repubbliche baltiche si è sviluppato il traffico di droghe e operano associazioni criminali impegnate anche in altre attività, per esempio nel commercio di nichel, cromo e altri metalli non ferrosi, che è stato l’asse principale del boom economico e finanziario “selvaggio” che ha caratterizzato quelle regioni (OGD 1995, pp. 60 s.).
Gli altri Paesi ex socialisti sono coinvolti in attività criminali e vedono il proliferare di gruppi locali e l’intervento di gruppi stranieri.
In seguito ai conflitti armati nell’ex Jugoslavia, le vie dell’eroina si sono spostate più a nord della tradizionale rotta balcanica, attraverso la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria. La Romania è diventato un crocevia internazionale anche per la cocaina. In tali traffici sono implicati anche alti gradi della polizia, collegati con membri della ‘ndrangheta calabrese.
La droga utilizza i canali del traffico d’armi tra i paesi del Patto di Varsavia e i Paesi arabi, molto sviluppato ai tempi di Ceausescu: molti funzionari di quel periodo sono ancora in sella (OGD 1994, pp. 251 ss.). In Romania la mafia controlla anche il racket delle adozioni di minori.
In Bulgaria, dopo la crisi delle esportazioni di tabacco, prima dirette soprattutto in Russia, sono aumentate le coltivazioni di cannabis e di papavero da oppio e le case farmaceutiche producono sostanze psicotrope e amfetamine (OGD 1995, pp. 29 ss.). La Polonia produce amfetamine: il 20% di tali sostanze sequestrate nei paesi scandinavi negli ultimi anni proveniva da laboratori polacchi.
Tutti questi Paesi costituiscono una miniera di occasioni per il riciclaggio del denaro sporco attraverso l’acquisto di proprietà immobiliari, la gestione di alberghi e di casinò. Per esempio, a Praga hanno fatto ottimi affari mafiosi siciliani e camorristi campani.
Non è un segreto per nessuno che la guerra nei territori dell’ex Jugoslavia è stata finanziata con i proventi del traffico di droghe (OGD 1994, pp. 255 ss.).
L’Albania produce marijuana ed è zona di transito dell’eroina per conto della mafia italiana, trasportata a bordo di centinaia di macchine di grossa cilindata ma si sono installati anche laboratori di produzione (OGD 1995, pp. 21 ss.).
L’emigrazione da questi Paesi è un business per i gruppi criminali che lucrano sulla disperazione di grandi masse per le quali insediarsi in Occidente anche soltanto come paria è preferibile alla permanenza nei luoghi d’origine.
Questi fenomeni, rapidamente abbozzati, sono riconducibili in gran parte alla tipologia mafiosa. Preferisco parlare di “mafia” invece che di “criminalità organizzata”, perché quest’ultimo concetto è generico e riduttivo (limitandosi a una mera registrazione delle attività criminali condotte da gruppi di criminali di professione), mentre mafia, almeno nel mio tipo d’approccio, è un concetto più complesso, risultando dall’interazione crimine-ricchezza-potere-codice culturale-consenso (Santino 1995, pp. 129 ss.). Ciò non vuol dire che questo modello è un guanto buono per tutte le mani, esso va adeguato alle varie realtà e solo delle ricerche sul campo possono darci un’analisi soddisfacente. Vuol dire soltanto che quello che ho chiamato “paradigma della complessità”, che considera la mafia come fenomeno polimorfico, per la sua articolazione ed elasticità, si presta, più di visioni parziali (per esempio la mafia come impresa) o fuorvianti (per esempio la mafia come protezione), ad essere usato anche in contesti diversi da quelli originari.
Mafia e socialismo reale
Come abbiamo già accennato, le attività e le organizzazioni di tipo mafioso nell’ex URSS non sono una novità in assoluto. Da un punto di vista organizzativo, il precedente più significativo è rappresentato dai cosiddetti “ladri nella legge” o “ladri che obbediscono a un codice”, cioè criminali organizzati secondo regole rigide, attivi fin dagli anni ’20. Si tratta di una setta segreta formata da ladri che non riconoscendo l’abolizione della proprietà privata erano anche eversori dell’ordine costituito e oppositori politici. Formatasi all’interno del mondo concentrazionario, l’organizzazione si era data uno statuto, le cui regole fondamentali erano il rifiuto dello Stato, del lavoro e dei rapporti sociali, a cominciare dal matrimonio, e aveva una cassa comune. Una sorta di casta monastica, a cui si accedeva dopo un lungo periodo di detenzione e attraverso un riconoscimento formale dell’assemblea degli affiliati.
Oggi i “ladri nella legge”, in tutto poco più di duecento, sono autorità riconosciute del mondo del crimine, ma sono alquanto lontani dalle regole quasi ascetiche del periodo sovietico (Martinetti 1995, pp. 71 ss.). Ci si è chiesti come mai un fenomeno tagliato su misura per una società economicamente primitiva si sia pienamente inserito negli intrecci affaristici apparentemente più moderni (Fracassi 1995, p. 80), ma la cosa non deve sorprendere. La convivenza di arcaico e moderno è una caratteristica della mafia siciliana ma può presentarsi anche in altri contesti dove operano gruppi criminali di tipo mafioso, formalmente rigidi ma in realtà molto elastici, con grandi capacità di adattamento, per cui si realizza quella simbiosi trasversale che ho definito “transcultura” (Santino 1989).
Un fenomeno molto più consistente, maturato all’interno dell’istituzione Partito-Stato era la cosiddetta “mafia sovietica” o “mafia politica” (Vaksberg 1991). Il termine è usato con due significati, che si intrecciano e sovrappongono: il PCUS, soprattutto nella periferia, ma con la piena consapevolezza e complicità dei vertici centrali, agiva con modalità criminali-mafiose (normalità della corruzione, ricorso sistematico all’estorsione e talvolta anche all’omicidio) e aveva rapporti continuativi e non episodici con gruppi e personaggi del mondo criminale.
Se è frutto di un’impostazione ideologica considerare tutto il PCUS come una megastruttura mafiosa, c’è una notevole massa di documentazione tanto sulle pratiche illegali del partito quanto sui rapporti con il crimine.
Soprattutto nel periodo di Brezhnev tali pratiche e tali rapporti hanno avuto una grande diffusione e hanno portato a processi a vertici politico-istituzionali come il ministro degli Interni e il viceministro, genero di Brezhnev.
Tale fenomeno, che può considerarsi un aspetto di una realtà più complessa, che si manifestava con lo sviluppo dell’economia sommersa e del mercato nero, la cosiddetta “economia-ombra”, può spiegarsi come un correttivo all’economia di piano e una sorta di democratizzazione come risposta alla fossilizzazione del potere, privo di ricambio, e alla spoliticizzazione di massa.
Nel periodo di Gorbacev, il probizionismo degli alcolici è stato una grande occasione di arricchimento per i gruppi criminali ma già da qualche tempo si andava diffondendo il consumo di droghe.
Le istituzioni sovietiche hanno avuto un ruolo decisivo nella “transizione”, gestendo operazioni illegali come la vendita delle riserve auree e di enormi masse di rubli. Nel corso del 1991 l’ambasciata sovietica di Roma ha svenduto 2.000 tonnellate di oro (per un valore di 22 miliardi di dollari); delle riserve d’oro sovietiche a fine anno non era rimasto neppure un grammo. L’operazione è stata gestita dal falso monsignore Roberto Coppola, nominato “console itinerante” dell’URSS, con credenziali firmate da Eltsin (Sterling 1994, pp. 219 ss.).
Sempre nel ’91 il KGB, con la complicità della criminalità internazionale e probabilmente dei servizi segreti occidentali, portò a termine una colossale truffa, avviata negli anni precedenti, svendendo 140 miliardi di rubli (cioè la somma equivalente a tutto il denaro contante esistente in Russia, corrispondente a 224 miliardi di dollari secondo la quotazione commerciale e a 10 miliardi sul mercato nero) per qualcosa come 7 miliardi e 800 milioni di dollari. Già nel 1989 la famiglia mafiosa di S. Lorenzo di Palermo aveva acquistato 500 milioni di rubli. I gruppi criminali hanno comprato i rubli utilizzando dollari falsi e proventi di traffici illeciti.
Nella truffa erano implicati esponenti della vecchia e della nuova nomenklatura (Sterling 1994, pp. 222 ss.).
A ciò si aggiunga la fuga di capitali in valuta straniera dall’ex URSS: dal ’90 al ’93 si calcola che abbiano preso il volo 30 miliardi di dollari, ma secondo il Fondo monetario Internazionale solo nel ’92 sarebbero stati esportati illegalmente 17 miliardi di dollari (Violante 1994, p. 223).
I capitali esportati illegalmente sarebbero pari all’intero ammontare degli aiuti finanziari internazionali ricevuti nel ’92 (Fituni 1993).
La svendita del patrimonio dell’ex URSS ha trovato il suo coronamento con le operazioni di privatizzazione, condotte con una sorta di “furore ideologico”, seguendo i consigli del Fondo monetario internazionale. Dato che i principali acquirenti sono stati i gruppi criminali, ci si può chiedere: le privatizzazioni sono state una grande operazione di criminalizzazione dell’economia o di legalizzazione delle mafie?
A Mosca la mafia ha fatto man bassa di negozi, alberghi e servizi. C’è stato un vero e proprio appalto alla mafia e il capo del Comitato per la privatizzazione del consiglio comunale lo ha così giustificato: «Se la mafia garantisce legge e ordine, cibo sugli scaffali e pavimenti puliti, allora io sono per la mafia» (Sterling 1994, p. 128). In tal modo la mafia non solo si sarebbe legalizzata ma appare come, improbabile, garante di legalità.
Mafie, capitalismo russo e capitalismo globale
Che rapporto c’è tra il crimine organizzato nella forma mafia e il capitalismo russo e più in generale il capitalismo globale?
Ma cos’è il capitalismo russo? Secondo le affermazioni correnti, si tratterebbe di un capitalismo selvaggio, che non ha mai conosciuto il mercato e con il crollo della forma Stato la mafia sarebbe l’unica istituzione effettivamente funzionante. L’illegalità diffusa e la mafia sarebbero forme di accumulazione primitiva in una fase transitoria, di cui è difficile prevedere la durata, che prelude all’affermazione del mercato e del nuovo Stato di diritto. Attualmente la mafia è presente nelle due categorie (la nomenklatura riciclata e gli strati sociali emergenti, i “nuovi russi” o i “veri imprenditori”: due forme di “borghesia mafiosa”) che potrebbero generare una nuova borghesia (Samary 1995).
Ma la seconda fase potrebbe essere già cominciata. Alla fase di capitalismo selvaggio sarebbe subentrata una fase che viene definita “capitalismo monopolistico di Stato”, non nel senso che le imprese sono statali ma perché «lo Stato favorisce e incentiva, coi mezzi che gli sono propri (la leva fiscale in primo luogo, la legislazione) la concentrazione industriale e bancaria di supermonopoli privati» (Catone 1996). Le forme di capitalismo speculativo, i traffici criminali e mafiosi sarebbero già in posizione subordinata rispetto ai supermonopoli.
La Russia è un paese ricchissimo di materie prime, con un grande apparato industriale, ma alcuni aspetti, per esempio l’aspettativa di vita (nel 1993 la vita media era di 59 anni per gli uomini e 72 per le donne), sono più vicini al Terzo mondo che al mondo occidentale. Secondo l’Accademia del management e del mercato di Mosca la scala dei redditi in base alla qualità della vita comprende quattro fasce: il 15% della popolazione vive in condizioni agiate, solo il 2% ha una posizione intermedia, mentre il 58% può considerarsi in condizioni di povertà e il 25% in miseria. (Fracassi 1995, pp. 43 s.). Al vertice sono i “nuovi russi” e il loro seguito di polizie private, composte per il 50% da ex funzionari statali e per il resto da reduci dell’Afghanistan e personale più o meno direttamente legato al mondo del crimine. Sono le caste privilegiate «tipiche più di una società medievale che di un capitalismo moderno» (Fracassi, 1995, p. 45). Manca una classe media.
Le materie prime, a cominciare dal petrolio, non bastano da sole ad assicurare una posizione di primo piano nel quadro mondiale. L’industria russa è basata su grandi impianti tecnologicamente obsoleti, si reggeva all’interno di un mercato chiuso e i vantaggi di un tempo si sono trasformati in handicap (Tagliazucchi 1996). Molte fabbriche sono già chiuse e, stando al rapporto sulle privatizzazioni del vice-presidente del Consiglio e presidente del Comitato statale per la gestione della proprietà pubblica, «le cinquecento più grandi industrie di Stato messe sul mercato, del valore complessivo di 200 miliardi di dollari, sono state vendute praticamente gratis, per 7,2 miliardi» (in Fracassi 1995, p. 55).
Le privatizzazioni lungi dal far nascere un’imprenditoria efficiente si è rivelata un grosso business per mafiosi ed esponenti della vecchia nomenklatura; le grandi imprese, privatizzate o meno, godono di sovvenzioni statali e i nuovi ricchi più che investire le loro ricchezze in impieghi produttivi preferiscono investirle in settori speculativi o trasferirle all’estero.
Il ruolo del capitale privato esterno, consistente in altri Paesi, è irrisorio in Russia, dove gli investimenti sono stati per 2 miliardi di dollari, pari a quelli nella repubblica ceca e quattro volte inferiori a quelli in Ungheria (Samary 1995). Per una serie di ragioni la Russia appare poco affidabile al capitale internazionale. In ogni caso non ci sono attualmente i mezzi per una sorta di “Piano Marshall” per i Paesi dell’Est.
C’è da chiedersi se nascerà mai un capitalismo concorrenziale, in grado di tener testa alle corporations transnazionali e di avere una notevole base di consenso per il diffondersi di attività imprenditoriali legali. In questo contesto, per niente aperto a sbocchi positivi nel breve periodo, l’ accumulazione mafiosa prima o poi si trasformerà in legale o essa rimarrà per chissà quanto tempo la più rapida e conveniente?
Storicamente le possibilità di passaggio dall’economia illegale all’economia legale si sono realizzate dove c’è un mercato aperto (USA); altrove anche se molte attività sono legali, formalmente, c’è la prevalenza dell’illegale, sia perché le attività più diffuse e redditizie sono illecite sia perché, quando sono lecite, vi si trasferiscono pratiche violente e illegali.
In Occidente si sono avuti due modelli storici del rapporto mafia-economia: 1) il modello siciliano, con la prevalenza delle attività illegali, per le scarse convenienze offerte dal mercato legale e per l’inesistenza di ricambi per articolare la divisione del lavoro criminale. In tale quadro le attività legali sono soprattutto attività di copertura e di riciclaggio; 2) il modello nordamericano, con un passaggio parziale ad attività legali, all’interno di un mercato aperto e con una società composita che offre notevoli possibilità di ricambio.
Quanto al rapporto mafia-politica-istituzioni, in entrambi i modelli i gruppi mafiosi sono collegati alle istituzioni, ma distinti da esse. Sotto questo profilo c’è un terzo modello, quello sudamericano, che dà vita a un’identificazione tra criminalità e istituzioni (narcocrazie o criminocrazie).
Nel modello russo, la mafia in buona parte è nata e nasce dal seno delle istituzioni (Partito, Kgb etc.) e a questo livello esso è più simile alle criminocrazie. A livello economico è ipotizzabile che abbia maggiori probabilità il modello siciliano, su una scala ben più vasta. In ogni caso, mi pare pematuro fare previsioni azzardate, soprattutto quando abbiamo una conoscenza inadeguata dei fenomeni in atto.
Quello che si può dire in linea generale è che il capitalismo globale non significa omologazione di tutto e di tutti, anzi comporta un aumento dei divari e la loro funzionalizzazione alle esigenze della massimizzazione del profitto. Esso incentiva tutte le forme di accumulazione e nei prossimi anni più che un accorciamento dei tempi tra fasi storiche in successione, come se si trattasse di un processo lineare, si potrebbe avere la convivenza tra accumulazione criminale e postfordismo. L’incremento dell’accumulazione illegale e il proliferare di organizzazioni criminali di tipo mafioso a livello planetario (Santino 1994) fanno pensare che questo scenario sia il più realistico.
Verso una supercupola mondiale?
La tentazione di usare lo strereotipo “Piovra universale” e di vedere il mondo del crimine governato da una supercupola è molto forte, ma come tutti gli stereotipi è una rappresentazione semplificata della realtà.
Le dichiarazioni di mafiosi pentiti che hanno parlato di questa supercupola planetaria, al cui vertice sarebbe Totò Riina, sono molto poco convincenti.
Le informazioni su incontri di vertice tra varie organizzazioni sono da prendere con beneficio di inventario: coloro che vi hanno preso parte rappresentavano tutta la mafia siciliana o tutti i cartelli colombiani o tutte le mafie russe o solo una parte, certamente non secondaria? I patti di esclusiva che si sarebbero firmati in questi vertici mafiosi sono riusciti a convogliare in un unico canale traffici che hanno la caratteristica della pluralità e dell’elasticità?
Quello che è certo è che i gruppi criminali attivi a livello transnazionale sono molti, in ulteriore sviluppo e che tra essi c’è una stretta collaborazione su vari fronti, dall’approvvigionamento delle merci al riciclaggio dei capitali. Mentre è molto forte la competizione violenta all’interno delle singole organizzazioni, non ci sono tracce, visibili e accertate, di guerra tra le varie organizzazioni. Le relazioni tra gli stati criminali sembrano migliori di quelle tra gli stati nazionali e all’interno dell’ONU. Ma come nel capitalismo legale non c’è un supercapitalista mondiale, ma una serie di soggetti transnazionali che mantengono le loro roccaforti nei paesi d’origine, così tutto lascia pensare che la collaborazione tra i vari soggetti criminali non comporti, almeno fino ad oggi, la loro unificazione sotto una supercupola mondiale.
Riferimenti bibliografici
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Violante Luciano, Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994.