Sapere Palermo: la città reale e le buone intenzioni
Umberto Santino
Sapere Palermo: la città reale e le buone intenzioni
Sulle pagine di “Repubblica” si è avviato un dibattito su Palermo che merita di essere ripreso. Amelia Crisantino ha richiamato una pubblicazione del Centro Impastato del 1990, un libro intitolato La città spugna. Palermo nella ricerca sociologica, la cui autrice era la stessa Crisantino. Il libro raccoglieva gli studi sociologici sulla città, dall’inchiesta di Danilo Dolci del 1957 alla ricerca sulla città marginale e in particolare sul quartiere Borgo di Vincenzo Guarrasi del 1978, all’analisi politica sul clientelismo di Judith Chubb, che metteva a confronto Palermo e Napoli, pubblicata negli Stati Uniti nel 1982 e non tradotta in italiano, agli studi sulla città terziaria e parassitaria di docenti dell’Università palermitana degli anni ’80, all’analisi sulla città stagnante e sulla metropoli meridionale condotta da un gruppo di studio coordinato da Ada Becchi alla fine degli anni ’70, non pubblicata.
Il quadro che emergeva da quelle ricerche, come scrivevo nella prefazione al volume, era quello di una città insieme corte dei miracoli sottoproletaria e vetrina di consumo ostensivo, con un’economia fondata sul denaro pubblico e in buona parte sull’illegalità, inchiodata agli ultimi posti nelle graduatorie della capacità produttiva e della dotazione di servizi, come avrebbero confermato le classifiche pubblicate a ogni fine d’anno dal “Sole 24 ore”.
Anche l’immagine allora circolante, e rispolverata in questi giorni, della primavera palermitana, del palcoscenico per uno spettacolo di portata nazionale, del laboratorio di nuove politiche e inedite strategie, veniva fortemente ridimensionata nel confronto con dati che parlavano altra lingua. In un volume sempre del Centro Impastato, dal titolo Le tasche di Palermo, del 1992, veniva pubblicata una ricerca del Cocipa, il Comitato cittadino per l’informazione e la partecipazione che stava vivendo gli ultimi mesi di vita, perché sempre meno gradito per le sue critiche documentate all’amministrazione comunale, più incline a orchestrare tifoserie che a sostenere il dialogo con una società civile adulta. Nel libro veniva fatto un raffronto tra esternazioni televisive e politiche reali, ricostruite attraverso l’uso concreto del denaro pubblico, per trarne la conclusione che più delle rotture verbali contavano le continuità di fatto, con capitoli di spesa destinati a perpetuare le politiche assistenziali delle giunte democristiane precedenti, la lievitazione delle spese di rappresentanza e la totale mancanza di qualsiasi progetto per lo sviluppo della città.
Allora ci siamo posti, il Centro Impastato, il Centro sociale San Saverio, il Cresm, il problema di dare un contributo in questo senso, presentando, nel 1989, una bozza di “Programma integrato di sviluppo per una Palermo produttiva” che si proponeva di raccogliere fondi di varia provenienza per realizzare una serie di progetti che mirassero a rafforzare la rete imprenditoriale cittadina e a formare quelli che allora, con terminologia europea, si chiamavano “agenti dello sviluppo”. Soltanto un motorino d’avviamento per un programma necessariamente più ampio e più ambizioso. Abbiamo avuto degli incontri con il vicesindaco (il sindaco non si è degnato), che è stato tanto prodigo di apprezzamenti quanto avaro di concretezza. Evidentemente la “primavera di Palermo” aveva altri fini (essenzialmente una politica dell’immagine che trovava nella piazza mediatica il suo amplificatore), e altri cantori, profeti ed eroi, che sarebbero ben presto approdati nel porto del centrodestra. Conclusione non nuova per tanti protagonisti dell’estremismo verbale in stagioni vecchie e recenti.
L’analisi da cui partiva la proposta si basava sui dati ufficiali di quegli anni che vedevano una popolazione in continuo aumento (642.814 nel 1971, 750.000 nel 1988), una popolazione attiva pari a un terzo della popolazione complessiva, in gran parte parcheggiata nella pubblica amministrazione e nei servizi. Il tasso di disoccupazione allora veleggiava su quasi il 35 per cento e la disoccupazione giovanile toccava il 50 per cento. Ma non si teneva conto dell’incidenza del lavoro nero.
Da allora cos’è cambiato? I dati del censimento del 2001 danno un calo della popolazione urbana (686.722), un incremento di quella dei comuni confinanti e un invecchiamento complessivo sempre più accentuato. Il saldo naturale, lo scarto tra nascite e morti, che aveva proiettato la città al quinto posto in Italia, si è ridotto pure a Palermo, che va allineandosi con lo sciopero della procreazione che vede il Paese a crescita zero.
Una legge del 1999 ha introdotto i “sistemi locali di lavoro”, costituiti da aggregazioni di comuni risultanti dalle rilevazioni del pendolarismo, cioè degli spostamenti della popolazione; per Palermo la media degli ultimi anni darebbe un tasso di disoccupazione oscillante tra il 26,7 del 2000 e il 22 del 2002, con una consistente presenza del cosiddetto lavoro “parasubordinato”, cioè precario e flessibile: la provincia palermitana sarebbe al primo posto in Sicilia con il 23,3 per cento.
Il mercato del lavoro attuale è una selva di lavori atipici (i lavoratori parasubordinati in Sicilia erano quasi 37.000 nel 1996, sono poco più di 136.000 nel 2003), mentre si registra la crisi perenne del Cantiere navale, che rimane la maggiore riserva di proletariato classico, e in provincia quella non meno preoccupante della Fiat. L’edilizia, che è stata per anni la valvola di sfogo, ristagna.
In questo quadro l’economia illegale non può non rappresentare una strada che s’imbocca spesso e volentieri. Come non c’è da sorprendersi se sia in atto la corsa ad accrescere le file del precariato, con modalità esasperate e discutibili, rispetto alle quali le iniziative dei senzacasa rappresentano un’eccezione.
In risposta alle considerazioni di Amelia Crisantino, che lamentava lo scarso interesse dell’Università per la ricerca sulla realtà cittadina, il professor Buccafusco ricorda che recentemente è stato prodotto un “Rapporto su Palermo”, con finanziamento comunale, distribuito “a tutti gli attori sociali e politici”. Non ne ho notizia. Evidentemente i destinatari non l’hanno tenuto in gran conto; se fosse stato inviato al Centro Impastato (che è tra i pochi ad aver mostrato interesse per queste tematiche, ma a quanto pare non figura nell’indirizzario dell’Università e del Comune) certamente l’avremmo esaminato con attenzione.
Palermo è già in pista per le elezioni comunali e si profilano candidature riciclate e nuove. E’ troppo chiedere che i programmi dei candidati si misurino con dati reali e non ripropongano compitini di buone intenzioni? Facile prevedere che se non si è capaci di confrontarsi con la realtà, la città continuerà a reggere il fanalino di coda, anche se la squadra di calcio (che di Palermo ha solo il nome) è in lizza per i primi posti.
La Repubblica – Palermo, 24 novembre 2006