Per Giuseppe Casarrubea
Umberto Santino
Per Giuseppe Casarrubea
“A mio padre, e a Vincenzo Lo Jacono, caduti nella strage di Partinico del 22 giugno 1947” così cominciava la dedica del suo libro su Portella della Ginestra del 1997, e le ultime parole erano per la madre: “Non credeva nella giustizia degli uomini e aveva ragione: nessun tribunale le avrebbe reso giustizia … Nella sua semplicità capì tutto e al potere dei palazzi, per quasi cinquant’anni, oppose la sua coraggiosa speranza”.
Peppino era nato nel 1946 e la sua vita sarà segnata dalle vicende di un anno emblematico come il ’47, che aveva visto la strage di Portella del primo maggio e la morte del padre, anche lui Giuseppe, in un attentato della banda Giuliano alla sezione comunista di Partinico, e tutta la sua attività di studioso, il suo impegno di educatore e di militante, saranno dedicati a far luce su quegli avvenimenti che legano la sua biografia personale e familiare alla biografia di un Paese che ha visto la nascita della Repubblica insanguinata da una violenza che mirava a segnarne il destino, e a chiedere che, nonostante il passare degli anni, si facesse giustizia.
Giovanissimo si lega a Danilo Dolci, a cui ha dedicato un libro uscito nel 2014, poi si dedica all’insegnamento, comincia la sua attività di ricerca con un libro sui Fasci siciliani in provincia di Palermo, continua con una serie di volumi sulla strage di Portella, sulla banda Giuliano, sulla storia segreta della Sicilia. Racconta una storia al di fuori degli schemi accademici, che utilizza la documentazione raccolta negli archivi segreti di vari Paesi, finalmente aperti. Si condividano o meno le tesi dei suoi libri, tra cui la più discussa, che vede il bandito Giuliano legato ai servizi americani e legge la strage di Portella privilegiando le responsabilità dei neofascisti, quel che è certo è che dobbiamo essergli grati per la tenacia con cui ha svolto il suo compito di studioso controcorrente e per l’impegno che ha caratterizzato la sua sfida agli stereotipi che ancora fanno velo a una completa ricostruzione della verità.
Quest’impegno ha voluto che fosse collettivo e da ciò nasce la creazione dell’associazione “Portella e non solo”, che raccoglie i familiari delle vittime che ancora attendono giustizia, e che durasse nel tempo, con la costituzione di un archivio che raccoglie una massa enorme di documenti, solo in parte esplorati. Da ciò la sua proposta che il suo archivio diventasse pubblico e la sua adesione al progetto del Memoriale-laboratorio della lotta alla mafia.
L’ultima volta che ci siamo incontrati, e avevo notato la sua magrezza, è stato all’Archivio di Stato di Palermo, per un incontro promosso dalla Rete degli archivi per non dimenticare e da alcuni archivi. Un incontro in cui si è ancora una volta toccato con mano l’abbandono in cui versano gli archivi e la difficoltà di venirne fuori, con risorse irrisorie. La Rete degli archivi, nonostante il patrocinio della Presidenza della Repubblica, è da tempo in stallo e molti progetti stentano a realizzarsi. Mi auguro che la situazione possa cambiare, ma l’Italia è un paese in cui si sprecano somme ingenti per l’effimero mentre le strutture esistenti sono condannate al degrado.