Le elezioni regionali siciliane: una sfida per il cambiamento possibile
Umberto Santino
Le elezioni regionali siciliane: una sfida per il cambiamento possibile
La candidatura alla presidenza della Regione siciliana di Rita Borsellino e la sua vittoria alle primarie hanno portato una ventata di aria nuova e di fiducia in un possibile cambiamento in un panorama dominato dalla quasi certezza della riconferma di Cuffaro e dalle incertezze, fino alla paralisi, dei partiti del centrosinistra che per mesi non sono riusciti ad esprimere una candidatura credibile, inscenando un gioco al massacro che faceva presagire un’ennesima sconfitta.
Nel tentativo di sbloccare la situazione gruppi della società civile avevano proposto di spostare il terreno dalla lotteria dei candidati al confronto programmatico e, con pochissimi altri, avevo presentato un documento che sollecitava una presa di posizione dell’associazionismo, facendo anche i nomi di possibili candidati. Il primo nome era quello di Tano Grasso, per le sue esperienze legate all’associazionismo antiracket e a un ruolo istituzionale svolto con efficacia e coerenza. E si accennava anche a donne che “hanno dato un significativo contributo alle iniziative di questi anni”. Il documento era caduto nel vuoto, anche perché più d’uno obiettava che la società civile siciliana era troppo debole per fare scelte così impegnative e non c’era altra possibilità che sostenere qualche personaggio proposto dai partiti. La decisione di Rita è venuta inaspettata e, paradossalmente, è stata raccolta e lanciata proprio da chi aveva espresso i maggiori dubbi sulle potenzialità dell’associazionismo. Meglio così.
Ora ci troviamo davanti a un quadro ragionevolmente aperto. Certo, non può non pesare l’esito delle elezioni politiche, comunque la candidatura di Cuffaro non appare più imbattibile, non tanto per le sue pendenze giudiziarie, che agli occhi di molti più che un handicap possono apparire un titolo di merito, quanto per le crepe nella coalizione che lo sostiene (nel centrodestra si preannunciano altre candidature). Partiti del centrosinistra e in particolare organizzazioni della società civile hanno dato vita a un laboratorio programmatico che vede una partecipazione diffusa nel territorio e la personalità di Rita, non tanto per il cognome che porta quanto per quello che fatto in questi anni, attrae consensi al là del recinto elettorale del centrosinistra, per una ragione che dovrebbe segnare un punto di debolezza (l’inesperienza sul piano politico-istituzionale) ma che diventa un punto di forza, tenendo conto che il distacco dai partiti non è generato solo dalle derive qualunquistiche dell’antipolitica ma pure dalla coscienza dell’inadeguatezza del quadro politico.
Il vento è favorevole, non solo per le indicazioni che arrivano dai sondaggi, di cui è bene diffidare; ma se non si tengono i piedi per terra, sul piano dell’analisi e delle proposte, c’è il rischio che si riproponga uno spettacolo già visto: la delega a un personaggio carismatico, scambiato per un nuovo salvatore.
Cuffarismo e berlusconismo in salsa siciliana
Negli ultimi anni si è parlato di “cuffarismo” come di un fenomeno nuovo, ma in realtà il modello incarnato da Cuffaro per un verso è in linea di continuità con il modello clientelare democristiano, per un altro innesta su quel tronco variazioni che dipendono dalle mutazioni del quadro politico e dalle peculiarità del personaggio.
Cuffaro ha navigato sia nelle acque del centrodestra che del centrosinistra, come assessore all’agricoltura, una delle voci di spesa più consistenti del bilancio regionale; era stato proposto come sindaco di Palermo da Orlando che abbandonando il Palazzo comunale si accingeva alla corsa verso Palazzo d’Orleans, sede della presidenza regionale. Ripassato al centrodestra, alle elezioni regionali del 2001 Cuffaro è stato eletto con il 59% dei voti, mentre la coalizione che lo sosteneva ha avuto il 65,2, superando il risultato delle politiche (dove aveva avuto il 56,2). Forza Italia è risultato il primo partito, con il 25% (ma alle politiche aveva riportato il 36,7), mentre i democristiani del Ccd, del Cdu e di Bianconfiore sono arrivati quasi al 20.
Il centrosinistra è arretrato rispetto all’esito disastroso delle politiche (aveva avuto il 34,5, alle regionali si è fermato al 30,2) e Orlando, godendo solo in parte del voto disgiunto, è arrivato al 36,6.
L’affermazione di Forza Italia, nonostante l’arretramento rispetto alle politiche, e la sostanziale tenuta dei democristiani, nonostante la frammentazione, hanno portato a una convivenza in cui vecchio e nuovo si sono mescolati. Il sistema clientelare si è retto su terreni storici, come agricoltura, sanità, abusivismo edilizio e industria del precariato. Il modello socio-antropologico ha combinato rapporti con personaggi sotto processo, come il magnate della sanità Michele Aiello, che hanno portato all’incriminazione di Cuffaro per favoreggiamento aggravato (e a controbilanciare quelle accuse il presidente ha tappezzato i muri con le scritte “La mafia fa schifo”), con il devotismo bigotto (la dedica della Sicilia alla Madonna, non per caso in lacrime), la pratica bonaria e paciosa, furbastra e ammiccante del Totò vasa-vasa, l’eloquio strapaesano. In una cosa Cuffaro si è distinto dal berlusconismo, mantenendosi ancorato a un andreottismo in versione provinciale: di fronte alle accuse mosse dalla magistratura ha vestito i panni dell’uomo d’ordine, reiterando ossequio e fiducia nei giudici, rifiutando l’attacco eversivo dei berlusconiani.
Il potere del centrodestra si è fondato finora sulla tenuta di un blocco sociale in cui si incrociano rappresentanti della borghesia mafiosa aggrappati alle risorse della spesa pubblica, l’esercito dei burocrati e la folla dei precari cronici, tenuti a bagnomaria con le promesse di sistemazione stabile. Ha cementato questo blocco un mix di populismo democristiano e illegalismo berlusconiano, condito con un recupero del sicilianismo, a dare una nota locale al federalismo leghista che è riuscito a terremotare l’impianto costituzionale.
Con queste carte la Sicilia cuffariana si appresterebbe a navigare nelle acque dell’Area euro-mediterranea che nascerà nel 2010, con un Mediterraneo solcato dalle barchette dei disperati raccolti da gruppi criminali e aperto al libero scambio, cioè a politiche liberiste che favoriranno le economie più forti e ingigantiranno il divario con i popoli rivieraschi più deboli.
E il centrosinistra?
Le forze del centrosinistra ereditano una debolezza storica che comincia negli anni ’50, con le grandi ondate migratorie (un milione e mezzo su una popolazione di 4 milioni e mezzo) che seguirono alla sostanziale sconfitta delle lotte contadine. La prima e l’ultima volta che le sinistre hanno vinto le elezioni regionali è stata il 20 aprile del 1947, sull’onda di un imponente movimento contadino, a cui seguì la strage di Portella del primo maggio, con la nascita del centrismo a Roma come a Palermo.
Da allora le sinistre in Sicilia sono una forza minoritaria, oscillante tra opposizione e compromesso. Naufragato nel sangue il tentativo di apertura a sinistra di Mattarella, sulle orme di Moro, c’è stata una stagione significativa con le giunte guidate da sindaci di sinistra, in gran parte donne, che sono state spazzate via dall’ondata berlusconiana. Sono crollate pure le antiche roccaforti rosse, come Piana degli Albanesi, da sempre socialcomunista. E’ mancata una riflessione adeguata su quella fase, caratterizzata dall’emozione e lo sdegno suscitati dai delitti mafiosi e da una volontà di cambiamento che si è concretata in atti esemplari ma non è diventata progetto e strategia, capaci di costruire alternative durevoli e rinnovare il tessuto sociale, troppo spesso risolvendosi nella delega a personaggi più o meno carismatici. Emblematica l’esperienza di Palermo con Orlando che prima ha portato al massimo storico la Democrazia cristiana e dimezzato i partiti alleati e, anche negli anni della Rete, ha svolto una politica dell’immagine che coniugava rotture verbali e convivenze di fatto, affiancato da personaggi che al mutare del vento sono passati dall’altra parte.
Dal novembre 1998 al luglio 2000, in seguito a un “ribaltone”, presidente della regione è stato il diessino Angelo Capodicasa. Qualcosa si è cercato di fare, con il risanamento dei conti, il recupero di fondi europei, accordi di programma sui trasporti e sulle acque, ma tutto è crollato con il passaggio dell’Udeur al centrodestra. Dopo la vittoria di Cuffaro il centrosinistra ha fatto un’opposizione debolissima, delegata a qualche singolo esponente, con l’assenteismo di chi ha preferito le ribalte internazionali all’oscuro impegno in assemblea e nel territorio.
Oggi una possibile vittoria di Rita Borsellino, probabilmente non accompagnata da un’affermazione del centrosinistra, dovrebbe fare i conti con problemi antichi nel frattempo aggravatisi. Il problema della mafia non può essere relegato, come temo, a uno dei tanti punti programmatici, con un’impostazione più tecnica che politica del tema della legalità, ma dev’essere il punto centrale, nettamente discriminante rispetto al centrodestra, più una rottura che una discontinuità. Perché la cosiddetta mafia sommersa e la borghesia mafiosa, espressione che rischia di diventare uno slogan se non è riempita di concreti interessi e concretissimi personaggi, hanno un ruolo fondamentale nei rapporti di dominio e subalternità nella società siciliana. E una politica realmente e realisticamente alternativa non si fa se non si mettono al centro i temi dell’occupazione, sottraendo al centrodestra strati popolari impigliati nei reticoli clientelari, e dell’uso razionale delle risorse.
I cantieri che si sono costituiti per elaborare il programma, più che scrivere l’ennesima enciclopedia di sogni, dovrebbero dare indicazioni sintetiche e concrete e tessere la trama su cui costruire una partecipazione organica e continuativa, non limitata alle scadenze elettorali. Rilancio la proposta di un Osservatorio sulla spesa pubblica, che riprenda l’attività del Cocipa (Comitato cittadino di informazione e partecipazione) che operò nei primi anni ’90 a Palermo, svolgendo un’analisi sui bilanci comunali (pubblicata nel volume Le tasche di Palermo): un esempio di ricerca-azione sulla politica reale, prima che arrivassero notizie sui bilanci partecipati di Porto Alegre.
Su queste basi strategiche sarà possibile governare il cambiamento o, se non si dovesse vincere, praticare un’opposizione degna di tal nome. In ogni caso Rita Borsellino non deve diventare la Santa Rosalia cui chiedere un miracolo che non c’è mai stato e che si attenderebbe invano.
Postilla
Il 28 aprile 2006 sono state presentate le liste.
Appoggiano Totò Cuffaro sette liste e tra i candidati figurano nomi ben noti, qualcuno anche per le sue vicende giudiziarie.
Appoggiano Rita Borsellino quattro liste e tra i candidati figurano alcuni rappresentanti della società civile.
Appoggia il terzo candidato, Nello Musumeci già di An e ora di Alleanza siciliana, solo il suo partito.
Ognuno dei candidati ha presentato un suo listino, con nove candidati che dovrebbero essere eletti come premio di maggioranza del presidente vincente.
I listini sembrano compilati con una sorta di “manuale Cencelli” siciliano. In quello di Rita Borsellino, accanto ad alcuni rappresentanti della società civile, figurano esponenti di partito: uno della Margherita, uno dei Ds, uno di Rifondazione comunista e uno dell’Udeur. Si poteva fare di meglio.