La mafia a Roma
Umberto Santino
Il mondo di mezzo
Le notizie che giungono da Roma sulla Mafia Capitale ci offrono indicazioni abbastanza illuminanti sulla capacità del modello mafioso di insediarsi in contesti diversi da quello originario. Si dirà che a Roma questa non è una novità, che in anni non lontani all’ombra del cupolone prosperava quello strano miscuglio di criminalità organizzata, di estremismo nero e servizi segreti normalmente deviati che si chiamava banda della Magliana. È vero, ma si dimentica che a suo tempo la Cassazione non volle riconoscerla come associazione mafiosa e su quella strada camminano ancora oggi i magistrati che nel Nord colonizzato dalla ‘ndrangheta hanno remore ad applicare l’articolo 416 bis della legge antimafia che delinea la fattispecie dell’associazione a delinquere di tipo mafioso. Ancora oggi c’è chi pensa che la mafia sia soltanto un pollo ruspante nelle riserve siciliane o del Mezzogiorno arretrato.
A Roma si parla di una cupola che copre attività criminali e affaristiche molteplici e complesse, relazioni capillari e diversificate, ed è il cinquantenne Massimo Carminati, reduce dai fascistissimi Nar e dalla banda della Magliana, che si è incaricato di fare una lezione di sociologia criminale di rara lucidità. Lo stagionato criminale, uscito indenne da varie vicende giudiziarie, compreso il processo per l’assassinio del giornalista d’assalto Mino Pecorelli, e felicemente a piede libero, ha parlato a braccio, consapevole o meno di essere intercettato, di un mondo di mezzo (qualcuno indica come fonte le fantasie letterarie di Tolkien) che fa da terreno di incontro tra un mondo di sopra e un mondo di sotto. Una sorta di sistema planetario. Fuori dalla metafora letteraria o cosmologica, il sedicente, non senza ragione, “re di Roma” descrive un metodo che si è dimostrato vincente, per la sua capacità di far incontrare mondi che sembrano separati e incomunicabili e invece convivono perfettamente. Il crimine si incontra con la politica e la pubblica amministrazione, dalla giunta Alemanno alla giunta Marino, e in una società che si vuole liquida si afferma come una delle poche cose solide e permanenti rimaste sulla scena. E una destra che, nonostante belletti e camuffamenti, è quella di sempre, fascista e burina (chi non ricorda i saluti romani per il camerata Alemanno salito al Campidoglio?), si incontra con una sinistra, più gassosa che liquida, che ormai alla destra si apparenta e alla destra sempre più assomiglia (non si è detto che il renzismo è la realizzazione del berlusconismo con altri mezzi? Ma i mezzi sono davvero cosi “altri” come si vorrebbe far credere?). Senza questi connubi, che sembravano innaturali e invece sono diventati abituali, “normali”, con la complicità e l’indifferenza di tanti, senza l’incrocio tra una struttura criminale collaudata ed elastica e un sistema relazionale composito e articolato (pubblici ufficiali a libro paga, imprenditori avventurosi, cooperative sociali che socializzano la capacità di intascare denaro pubblico, bassa manovalanza e alta borghesia, un ventaglio aperto all’infinito) non sarebbe stato possibile questo repertorio di attività che sono venute alla luce. Appalti, ovviamente, ma pure estorsioni, usura, recupero crediti, accoglienza ai migranti, riciclaggio di soldi sporchi, traffico d’armi, smaltimento di rifiuti e corruzione che non fa distinzioni: tutti sono comprabili, corrotti e corruttori affratellati dalla mistica dei soldi. Un “romanzo criminale” rivisto e aggiornato. La violenza, agita o minacciata (emblematico il linguaggio recuperato dalle intercettazioni), imprime il marchio mafioso doc, a smentire chi pensa che ormai la mafia manda i figli a studiare a Oxford e si dedica solo o principalmente agli azzardi di borsa. E invece il vecchio, l’arcaico, convive fruttuosamente con il nuovo e il postmoderno e da questo mix nasce un fenomeno che è tutt’altro che residuale ma è modernissimo e destinato a un brillante futuro, se i mondi che si incrociano continueranno a muoversi come hanno fatto fino ad oggi.
Per scoprire che a Roma c’è la mafia, cioè che il crimine romano è né più né meno che mafia, ci sono voluti due magistrati provenienti dal palazzo di giustizia di Palermo, il procuratore Pignatone e l’aggiunto Prestipino, che prima di essere trasferiti nella capitale si erano perfezionati a Reggio Calabria. Per fortuna, oltre alla mafia, la Sicilia esporta persone che hanno gli occhi aperti e sanno chiamare le cose con il loro nome.
Pubblicato su Repubblica Palermo del 6 dicembre 2014, con il titolo: Se la mafia non è più un’esclusiva del Sud.