Ecco perché ho lasciato l’Antimafia
Santino: “Ecco perché ho lasciato l’Antimafia
Intervista di Francesco Palazzo
Umberto Santino, fondatore del Centro Impastato, è appena tornato da Trento. Viene da una conferenza sulla mafia tenuta in una scuola autogestita.
“Mi ha accolto un preside palermitano, studioso, tra l’altro, di S. Benedetto il Moro. Gli studenti hanno seguito con attenzione, ma non so quanto siano utili iniziative episodiche, in mancanza di programmi curricolari specifici. Nessuno sapeva chi erano Mauro Rostagno, protagonista proprio a Trento del movimento studentesco degli anni ’60, e Carlo Palermo che indagò sul ruolo della città nel traffico internazionale di droga e di armi. Ho proposto un percorso su mafia e antimafia a partire dalla propria realtà”.
Umberto si è appena dimesso da consulente a titolo gratuito della commissione antimafia. Aveva accettato nel marzo 2003 proponendo di far luce sui rapporti tra mafia e istituzioni. Aveva indicato, come temi da esplorare, l’assassinio del sindacalista Accursio Miraglia, Portella della Ginestra e le stragi più recenti. “Ma i relativi comitati – ci dice – non sono stati mai costituiti. Non sono mai stato contattato, a questo punto non capivo più in che cosa consisteva la mia collaborazione.”
Ripercorriamo qualche momento delle altre commissioni parlamentari. La prima, nel 1875, non ottenne nessun risultato, riuscì solo a dire che la mafia non esisteva come struttura organizzata. “Altro impatto ebbe l’inchiesta di Franchetti e Sonnino, individuò la mafia come industria della violenza esercitata dai facinorosi della classe media, da cui deriva la mia analisi sulla borghesia mafiosa. Nel secondo dopoguerra in concomitanza con le lotte contadine e gli omicidi dei sindacalisti e la strage di Portella, si chiese a più riprese di istituire una commissione, ma si diceva che si trattava solo di banditismo”. La commissione venne poi istituita dopo la strage di Ciaculli (1963) e presentò la relazione dopo ben nove anni, nel 1972. Vi fu anche la relazione di minoranza a firma La Torre. “La risultanza più importante di quella commissione fu la considerazione della mafia come fenomeno di classi dirigenti e la relazione di minoranza documentò i rapporti con la politica, soprattutto riguardanti il quadro dirigente democristiano”. Dopo Dalla Chiesa (1982), con la legge antimafia venne istituita una Commissione di vigilanza sull’attuazione della legge che poi diventò una Commissione d’inchiesta rinnovabile a ogni legislatura. “Negli anni ’80 la Commissione venne presieduta dal comunista Alinovi – ricorda Santino – io stilai la parte introduttiva e lo schema generale della relazione di minoranza del 1985 a firma Guido Pollice”. Ci mostra la relazione e leggiamo la nota di ringraziamento nei suoi confronti. “In quella relazione troviamo la mafia finanziaria, una grande macchina di accumulazione del capitale che utilizza i canali del riciclaggio internazionale, i traffici di droga e di armi, i processi di militarizzazione del territorio, l’esemplarità della vicenda Impastato. Il ruolo della commissione dovrebbe essere politico e culturale, tale da colmare il vuoto delle inchieste giudiziarie, che possono solo arrivare a un certo punto e sulle quali non si può scaricare tutta la richiesta di verità. La politica deve essere capace di scrivere una storia dell’impunità guardando al comportamento delle istituzioni verso la criminalità organizzata, come con la commissione presieduta da Lumia si è riusciti a fare per Peppino Impastato”. Il comitato sul caso Impastato venne istituito durante la commissione presieduta da Ottaviano Del Turco e venne presieduto da Russo Spena nella gestione Lumia. “Sulla lotta politica alla mafia – continua Santino – è stato lasciato un vuoto a sinistra. Si deve essere capaci anche di battaglie di minoranza. Si poteva, ad esempio, presentare una relazione dell’opposizione nel 2003 quando la maggioranza dell’attuale commissione ha presentato una relazione non condivisibile. Si è parlato di ragioni tecniche, non ho capito e non condivido la scelta sul piano politico”.
Sulla commissione antimafia regionale, concorda sul fatto che dovrebbe avere ben altra importanza e che l’opposizione potrebbe impegnarsi per farla funzionare con un ruolo attivo di analisi e di documentazione. Tornando alle dimissioni parla di un uso scorretto di un suo scritto nella relazione di maggioranza. “C’è stato l’utilizzo distorto di una mia analisi sul terzo livello, come se avessi una visione riduttiva del rapporto mafia-politica, che invece costituisce una parte fondamentale del mio ragionamento. Senza il sistema relazionale che comprende amministratori e politici la mafia sarebbe soltanto un fenomeno criminale”.
Non solo commissione antimafia, anche dal punto di vista legislativo si segna il passo. “In questo momento c’è solo il voto di scambio, voti in cambio di denaro e favori, una fattispecie improbabile: il rapporto mafia-politica va ben oltre. Il concorso esterno andrebbe regolato in modo adeguato, l’opposizione dovrebbe sviluppare una sua analisi e una strategia conseguente”. Per la mafia di oggi, siamo di fronte a delle trasformazioni sostanziali? “Penso che sia sempre valida l’analisi di una mafia che muta mantenendo una certa continuità. Il problema è capire quali sono oggi i cambiamenti e come si configura la continuità. Mettendo a fuoco temi specifici, quali la signoria territoriale e i grandi appalti”.
E l’antimafia? “Penso che l’uso sociale dei beni confiscati, le lotte dei senza casa a Palermo, il lavoro nelle scuole, siano momenti significativi. Manca però una strategia complessiva che coinvolga gli strati popolari. Una lotta alla mafia senza il coinvolgimento degli strati popolari è come zappare all’acqua”. Sì, ma con quale proposte concrete? “Bisogna mettere al centro il lavoro, l’uso razionale delle risorse e la partecipazione popolare. Il sindacato è impegnato nella difesa degli occupati minacciati nei loro diritti, lascia però scoperto il mondo dei disoccupati e dei precari”. Va bene, ma cosa facciamo fare ai disoccupati? “Per il risanamento del centro storico di Palermo e delle periferie occorrerebbero decenni di cantieri aperti, coinvolgendo senza casa, edili, professionisti. Perché non si prova a cimentarsi su sfide come queste, per un’antimafia del lavoro, dei diritti, della partecipazione?” Finiamo sulla commissione antimafia. “Se qualcuno vuole lavorare seriamente, io sarei disposto a collaborare a prescindere da incarichi formali. Mi sa che però non ci sia la volontà, è già cominciata la lunga campagna elettorale”.
“La Repubblica Palermo”, 27 febbraio 2005