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Umberto Santino

Salvini a Corleone

“Un derby tra fascisti e comunisti”: così Salvini, ministro plenipotenziario del governo in carica, ha definito la Resistenza e ha annunciato che il 25 aprile diserterà le commemorazioni ufficiali e andrà a Corleone, per la sua esibizione antimafia. Qualcuno lo informerà che a Corleone c’è stato un certo Placido Rizzotto, che ha fatto la Resistenza in Carnia ed è stata la scuola in cui è maturata la sua coscienza politica che lo ha portato a organizzare le lotte contadine e a lottare la mafia, pagandone il prezzo. Probabilmente sarà la prima volta che il superministro leghista, che non pare uomo di molte letture, ne sentirà parlare. Ma non è un’eccezione, ormai pure la scuola ha voltato le spalle alla storia, eliminandola dalle materie per gli esami di maturità, ma di fascismo e Resistenza nelle scuole della Repubblica si è parlato sempre poco o niente. E sulla base di un’ignoranza strutturale e congenita, c’è stato un presidente del Consiglio che, sentendo parlare dei fratelli Cervi, anche per lui la prima volta che gli capitava, mostrava il desiderio di incontrare Alcide, il loro papà, che ci aveva lasciati nel lontano 1970. Ora tocca a un altro lumbard che, da tifoso dei social, traduce una storia che non conosce, e non gli interessa conoscere, in una partita di calcio stracittadina.

Viviamo in un periodo storico che, dopo la guerra fredda anticomunista, stravinta dal capitalismo associato, sembrava doversi aprire alla fratellanza universale, alla globalizzazione dei diritti e del benessere. Invece la dittatura del mercato ha portato all’archiviazione del welfare istituzionale, all’acuirsi delle disuguaglianze tra un club di straricchi e una stragrande maggioranza di vecchi e nuovi poveri, alle migrazioni di popoli che fuggono dalle guerre, dalla miseria e dalle catastrofi climatiche, frutti del sistema, e la reazione è la chiusura dei porti e l’innalzamento dei muri. Ora la nuova geopolitica è il sovranismo,  con il “prima gli italiani!”, declinazione nostrana di un egoismo generalizzato, che vede in qualche migliaio di persone a rischio naufragio un assalto ai sacri confini della Patria.

C’è chi dice che il fascismo è alle porte, ma voci affidabili avvertono che il fascismo e il nazismo erano un’altra cosa, delle dittature, cioè la negazione della democrazia. Nel nostro Paese la democrazia formale è salva, di tanto in tanto si va a votare, ma ci sono gruppi che si autodefiniscono fascisti e a Torre Maura, periferia romana, i camerati di Casa Pound qualche settimana fa gridavano ai Rom: “dovete morire” e calpestavano il pane destinato ai bambini. È bastato il ragazzo Simone, che sfidava gli squadristi, a presidiare un senso di umanità così spudoratamente violato? La Costituzione vieta la riorganizzazione, “sotto qualsiasi forma”, del disciolto partito fascista, ma ormai la Costituzione è più un testo da stravolgere che da attuare. Certo, al Quirinale non siede un rampollo della dinastia savoiarda, con un imbelle reuccio che spianò la strada al fascismo e firmò le leggi razziali. Ma che altro è, se non razzismo, la xenofobia, l’odio e l’avversione per le persone di colore, che dagli spalti degli stadi tracima nella vita quotidiana? E come si spiega il successo di cui gode un personaggio con linguaggio e pose da ducetto in tirocinio? Tutto questo non ha qualcosa da spartire con il clima che generò il consenso di massa alle resistibili ascese dei dittatori di ieri? La differenza è che allora, sull’onda della rivoluzione sovietica, si temeva che qualcosa di simile potesse accadere in Italia e in Germania, e le sinistre divise facilitarono il cammino a Mussolini e Hitler, mentre oggi le sinistre, nelle loro varianti, tra un riformismo mutato in trasformismo e una predicazione rivoluzionaria destinata a non avere molto seguito, rischiano l’irrilevanza o la scimmiottatura di canoni delle destre. Ma non può essere questa la polizza di assicurazione che ci salverà da un’involuzione in corso.

La crisi della democrazia, perché di questo si tratta, al di là dei rituali, si sposa con una cattiveria disumana che marchia come “buonismo” quel tanto che ci resta di coscienza civile e comunitaria. È questo il terreno su cui si misura la tenuta di una Resistenza fatta soprattutto di conoscenza e di capacità di progettare alternative all’epidemia di intolleranza o di indifferenza che rischia di travolgerci. Per uno come Salvini la scelta di andare il 25 aprile a Corleone è decisamente sbagliata, perché lì antifascismo e antimafia si incrociano nel nome di un partigiano di due Resistenze. In ogni caso c’è da augurarsi che l’unica traccia che il suo passaggio lascerà sarà il post del suo faccione con un cannolo in bocca.

Pubblicato su “Repubblica Palermo” del 24 aprile 2019, con il titolo: Il partigiano Placido Rizzotto, simbolo di due Resistenze che non sono in alternativa.