Donne e guerre di mafia
Simona Mafai
Ombre femminili nella guerra di mafia
1897, Palermo. Agata Mazzola (26 anni) e Margherita Lo Verde (30 anni), i cui mariti cocchieri sono stati uccisi dai capimafia del quartiere, avvicinano la signora Florio mentre si reca dalle suore di San Vincenzo, chiedendole un aiuto per i figli. “Non mi seccate – risponde la signora – perché vostro marito era un ladro e veniva a rubare nel mio palazzo”. Le donne rispondono che al contrario gli uomini sono stati uccisi perché si erano rifiutati di partecipare a un sequestro, ma la signora non dà loro conto. Le due donne allora si presentano in questura, raccontano tutto e dicono i nomi dei mafiosi. Prova della combattività delle donne del popolo di Palermo, della loro (sempre delusa) fede nella giustizia. È un episodio narrato nel libro “La mafia dimenticata” di Umberto Santino, libro che indaga sugli inizi della mafia, nella seconda metà dell’800, e rilegge, con certosino puntiglio, una gran massa di documenti sepolti negli archivi, facendo riemergere vita e sofferenze del popolo palermitano, e la presenza in esso, in controluce, delle donne.
Sono le rapite, violentate ed anche uccise dai mafiosi e dai loro protettori: un mafioso uccide una donna sposata che ha rifiutato le sue offerte amorose; un altro uccide il marito della donna ch’egli gli ha “portato via”; un barone rapisce una ragazza, è condannato in contumacia, ma poi viene difeso dal procuratore del Re; il rampollo di una famiglia mafiosa mette incinta la servetta diciassettenne, quindi la fa scomparire e risponde con violenta arroganza al padre che chiede notizie di lei. Sono tutti episodi registrati nei rapporti della polizia dell’epoca o nei verbali del primo processo contro la mafia, del 1883. Emerge il mondo minore dei mercati, delle locande, delle bettole – spesso gestite da donne, e sede di incontri malavitosi.
Giuseppa Di Sano, bettoliera di Sampolo, si accorge di uno spaccio di monete false; perché ella non parli, la minacciano, sparano contro la sua bottega ed uccidono la figlia. Ciò nonostante ella non si piega e testimonierà contro i mafiosi, indicandoli di persona.
Lunga la schiera delle vedove degli scomparsi, che denunciano gli assassini: Francesca Scuteri, 34 enne, venditrice ambulante di polli, dichiara a un ufficiale di P.S. “Ho sempre sospettato che mio marito fosse stato ucciso…” Un’altra vedova, Giuseppa La Rosa, dice in Tribunale che il marito non tornò più dopo essere stato invitato ad una “divertita” in campagna. L’affianca, e dà ulteriori particolari, la cognata – sorella dello scomparso. Un’altra vedova, Anna Gottuso, indica coraggiosamente, nell’aula del tribunale, gli uccisori del marito detenuti in gabbia.
L’omertà non è femmina.
Vicenda emblematica quella di Giovanna Cirillo. Il marito, Stanislao Rampolla del Tindaro, delegato di Pubblica sicurezza del Comune di Marineo, denuncia in un memorandum “l’esistenza a Marineo di una vecchia associazione di malfattori tuttora diretta dall’attuale Sindaco”. Ma il Sindaco viene rieletto con grandi festeggiamenti, ed il Prefetto delibera il trasferimento in altra sede del Rampolla, che, sconfitto e umiliato, si toglie la vita.
La vedova, anticipando l’impegno e la tenacia che avranno altre donne nel ’900, cerca di trasformare il suo lutto in azione politica: si reca a Roma da Francesco Crispi, stila – assieme al nipote – un ricorso denunciando l’esistenza dell’associazione mafiosa, si rivolge ai giornali. Ma il ricorso viene respinto.
Un’azione coraggiosa, che denunciava il connubio tra mafia e determinati gruppi politici, indicando il percorso di pulizia e giustizia che lo stato avrebbe dovuto intraprendere viene derisa e ignorata.
Come risulta da questi stralci relativi alla dolente presenza femminile nella lotta alla mafia ai suoi albori, il libro di Umberto Santino fornisce una preziosa sintesi di rapporti di polizia, verbali di processi, articoli di giornali dell’epoca, fa conoscere l’attività di indagine e di resistenza di molti funzionari dello stato e di non pochi cittadini privati vittime della violenza mafiosa (la famiglia di un medico fu sterminata!), e stimola una ulteriore riflessione sulla formazione e lo sviluppo della mafia, e la sua collocazione rispetto ai ceti sociali.
Umberto Santino, La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento. Le inchieste, i processi. Un documento storico, Melampo, Milano 2017.
Pubblicato su “Mezzocielo”, n° 157, pag. 21.