Moro e Impastato
Umberto Santino
Moro e Impastato: due storie diverse nel contesto delle stragi
Com’è noto lo stesso giorno, il 9 maggio del 1978, a Roma fu trovato il corpo senza vita di Aldo Moro e a Cinisi furono trovati i resti del corpo di Peppino Impastato. Che la contemporaneità dei due eventi, e il clima di quegli anni, dominati dalla caccia ai terroristi, abbiano pesato nell’indirizzare le indagini sul delitto Impastato verso la pista dell’attentato conclusosi con la morte dell’attentatore o compiuto da un suicida, non c’è dubbio, ma si è trattato solo di un condizionamento investigativo o c’è dell’altro?
Di questo si discuterà il pomeriggio del 7 maggio a Cinisi, nell’ambito delle iniziative per il 38° anniversario dei due avvenimenti. All’incontro, tra gli altri, parteciperà Agnese Moro.
C’è stato, o ci può essere stato un legame tra stragismo politico e stragismo mafioso? E tale legame riguardava solo il quadro nazionale o si inscriveva in un ambito più ampio, all’interno delle dinamiche geopolitiche?
Che la mafia abbia avuto un ruolo nel mezzo secolo della prima Repubblica, quando c’era da fronteggiare con tutti i mezzi, compresi quelli mafiosi, il “pericolo comunista”, ormai fa parte dei luoghi comuni. La Commissione stragi negli anni ’90 sottolineava l’anomalia italiana, derivante dalla collocazione dell’Italia come paese di frontiera tra mondo occidentale e mondo comunista, che aveva come conseguenza la sovranità limitata. Ma non operava solo la relazione Est-Ovest, ma anche quella Nord-Sud, per cui la parte assegnata all’Italia era rigidamente configurata: tenere fuori dall’area del potere il Partito comunista (l’operazione comincia nel maggio del 1947, subito dopo la strage di Portella, risposta alla vittoria delle sinistre alle prime elezioni regionali), assicurare il controllo sul Mediterraneo ospitando le basi americane. Chi opera in contrasto con questi compiti è un nemico. È la democrazia bloccata, con il Pci relegato all’opposizione: è stato protagonista della Resistenza e della gestazione dello Stato, ma è legato al nemico numero uno: l’Unione Sovietica. Così è un nemico Mattei che vuole ribaltare l’ordine economico mondiale fondato sul monopolio del petrolio delle corporations anglo-americane; sono nemici i politici che vogliono dare all’Italia un ruolo diverso da quello di fedele assistente della gendarmeria statunitense e della Nato.
Negli anni ’70 l’avanzata del Pci, con il rischio del sorpasso rispetto alla Dc, movimenta un quadro che si pensava potesse tenere all’infinito e proliferano le azioni terroristiche, nere o rosse, con l’intento di spingere verso forme di autoritarismo, con o senza golpe, o verso esiti rivoluzionari di tipo classico: la presa del potere e l’instaurazione del comunismo.
Moro incarna tutte le problematiche derivanti da questo intreccio di relazioni internazionali; si muove, con proverbiale prudenza ma con determinazione, per rinnovare il quadro politico-governativo aprendo al Pci, nel tentativo di buttare giù il pilastro portante della democrazia bloccata, è filopalestinese e filoarabo, suscitando le preoccupazione di Israele (il Mossad, il servizio segreto israeliano, ha ampia libertà di movimento in Italia) e degli Stati Uniti. Fino a che punto le Brigate rosse hanno agito autonomamente o sono state “influenzate” da altri soggetti interessati a porre fine non solo a un personaggio ma a una politica?
Impastato denuncia il ruolo della mafia, in un periodo in cui se ne parlava poco o niente, le sue connessioni con l’attività politico-amministrativa, l’identificazione con la Democrazia cristiana, i compromessi del Pci, attacca le istituzioni, in particolare l’arma dei carabinieri per le perquisizioni in casa di dirigenti e militanti di sinistra dopo la strage nella casermetta di Alcamo, del gennaio 1976; nei notiziari di Radio Aut ampio spazio è dato alle notizie internazionali. È un “estremista” e ai mafiosi conviene farlo passare per terrorista, replicando la loro immagine di uomini d’ordine, che calza a pennello a un personaggio come Badalamenti, in ottimi rapporti con amministratori e marescialli. La mafia rafforzerà quell’immagine con l’assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, nel 1982, che più che un favore ai servizi segreti si può considerare frutto di un’identità di vedute (si è parlato della mafia come una sorta di Gladio regionale). La mobilitazione contro l’installazione de missili a Comiso è in pieno contrasto con il nuovo assetto della strategia militare degli Stati Uniti e della Nato. E poi c’è tutta la sua attività, di dirigente delle lotte contadine e di parlamentare impegnato nella lotta alla mafia, culminata con la redazione di quella che sarà la legge antimafia.
Parteciperà all’incontro anche Rita Di Giovacchino che nel suo libro Stragi considera le variabili, o le costanti, che possano avere influito in quegli anni, continuando il discorso cominciato con il Libro nero della prima Repubblica. Il quadro è affollato: servizi segreti e massoneria normalmente “deviati”, l’organizzazione segreta Gladio e la Falange armata, fascisti irriducibili e sanguinari strateghi di rivoluzioni improbabili, terroristi neri alleati di apparati istituzionali, protagonisti della criminalizzazione dello Stato a impunità garantita, trattative mafia-Stato che costituiscono non l’eccezione ma la regola. La mafia svolge il suo compito ma si prepara a una guerra interna, la più sanguinosa della sua storia, e alla macelleria esterna che decima i vertici delle istituzioni. Segno che non gradisce le reazioni all’escalation della delittuosità. Con il crollo del comunismo e la repressione dopo i grandi delitti e le stragi, dovrà cercare un nuovo ruolo. Di mafia, delle sue trasformazioni reali o presunte, e di antimafia, dei suoi problemi e delle sue realizzazioni, parleremo il pomeriggio dell’8 maggio, in un programma denso di iniziative che ci sembra il modo migliore per ricordare Peppino Impastato.
Pubblicato su Repubblica Palermo del 7 maggio 2016, con il titolo: I misteri del ’78 fra Cosa nostra e Brigate rosse.