Le tragedie dei migranti
Umberto Santino
Le tragedie dei migranti: il volto tragicamente normale del mondo contemporaneo
La tragedia consumatasi nei giorni scorsi nelle acque del Mediterraneo, questa volta con un numero di morti da bollettino di guerra, ha riproposto un copione che si replica da troppo tempo. L’Italia rimprovera all’Europa di dedicare al problema dei migranti scarsi mezzi e ancora più scarsa attenzione; i rappresentanti dell’Europa, al cui vertice non per caso figura l’ex gestore di un paradiso fiscale e favoreggiatore dell’evasione, risponde convocando vertici e rilasciando dichiarazioni; il Papa, che ormai sembra l’unico portavoce autorevole di una visione “di sinistra”, ripete a ogni occasione che questa economia, cioè l’economia del capitalismo finanziario, uccide, condannando alla miseria e all’emarginazione gran parte della popolazione mondiale, mentre dall’estrema destra, in Italia rappresentata da un giovanotto senza arte né parte, collezionista di felpe ridicole e di ossessive comparsate televisive, su tutte le reti, si levano proclami razzisti semplicemente vergognosi. La magistratura apre fascicoli sugli scafisti e sui gruppi mafiosi che gestiscono il traffico di esseri umani e ultimamente se n’è aggiunto uno sui musulmani che hanno scaraventato in mare dei cristiani, colpevoli di pregare un dio diverso dal loro.
Si ignora, o si fa finta di ignorare, che i flussi migratori sviluppatisi negli ultimi anni con crescente intensità non sono un’emergenza, destinata prima o poi a indebolirsi e svanire, ma uno dei fenomeni strutturali più inquietanti del nostro tempo. È la globalizzazione nel suo volto più vero e brutale. Da paesi in guerra permanente, tenuta accesa dai mercanti di armi dei paesi occidentali, tra cui l’Italia, dilaniati da conflitti etnici e religiosi, inchiodati a condizioni di vita intollerabili, masse imponenti di persone cercano di fuggire, alla ricerca di un presente e di un futuro diversi. E siccome non viene offerta loro una via legale, anzi vige il proibizionismo della libera circolazione delle persone, mentre è in auge quella delle merci e dei capitali, folle di disperati ricorrono a gruppi più o meno organizzati, più o meno classificabili come mafiosi, che danno loro la possibilità di fuggire, anche con il rischio della vita.
Questo che si può definire un “fenomeno totale”, con “funzione specchio”, poiché richiama e disvela aspetti permanenti e sistemici della società contemporanea, non si può affrontare con modalità da pronto soccorso; richiederebbe una politica globale, capace di affrontare i problemi dei paesi da cui si cerca di fuggire e di offrire percorsi legali a richiedenti asilo e ai migranti. Ed è proprio quello che non si fa e non si vuol fare. Non lo fa l’Europa, non lo fa l’ONU, sempre più ridotta a una larva, costosa e inutile.
Che senso ha dichiarare guerra agli schiavisti, distruggere i barconi, individuare, processare e condannare gli scafisti, se non si pone mano alle cause che stanno alle spalle delle migrazioni? Gli stati nazionali sono inchiodati ai loro interessi, alla ricerca di una via d’uscita dalla crisi economica e a difesa di quel tanto che rimane della loro sovranità; l’Europa è sempre più il dominio riservato dei banchieri, con qualche tentativo, alla Draghi, di far passare qualche provvedimento da “capitalismo compassionevole” e con la volontà, condivisa, di far fallire l’esperimento greco che cerca di contestare i canoni vigenti e potrebbe suscitare imitatori; i produttori di armi vedono aumentare i loro profitti e partecipano proficuamente alle fiere mondiali, come quella del febbraio scorso ad Abou Dhabi, negli Emirati arabi, finanziatori dell’Isis e amici degli Stati Uniti (ci sono grandi contraddizioni sotto il cielo); la legislazione internazionale è inchiodata alle proibizioni che favoriscono le mafie e a ogni replica dei naufragi va in scena lo spettacolo del’ipocrisia istituzionalizzata.
I movimenti pacifisti e antirazzisti, che in Sicilia hanno ottenuto una vittoria parziale e precaria, con lo stop alla costruzione del MUOS, sono troppo deboli e frammentati per far valere le loro proposte, anche se restano le uniche che abbiano senso, a cominciare dalla legalizzazione dei flussi migratori e dalla ridefinizione della cooperazione internazionale. In questo quadro, senza politiche che dovrebbero legare l’intervento immediato per salvare vite umane al progetto a lungo termine, le tragedie non possono che ripetersi. Sono il volto, tragicamente normale, del mondo contemporaneo.
Aprile 2015