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Sentenza per Dell’Utri: una mezza verità

Umberto Santino

Sentenza per Dell’Utri: una mezza verità

Mezzo condannato e mezzo assolto: si è concluso così il processo d’appello per Marcello Dell’Utri. I giudici pare che si siano attenuti al copione del processo ad Andreotti, con l’associazione a delinquere accertata fino al 1980, ma prescritta, e l’assoluzione per il periodo successivo. Ora lo spartiacque temporale è stato individuato nel 1992, e fino a quella data Dell’Utri risulta colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa, e questa volta il reato non è prescritto, da quella data in poi “il fatto non sussiste”. Sono state ritenute valide le prove utilizzate nel processo di primo grado, mentre il materiale probatorio usato in appello, tra cui le dichiarazioni di Spatuzza, non è stato considerato attendibile.
Di fronte a una sentenza che ribadisce la natura criminale dei comportamenti di uno dei fondatori del partito-azienda berlusconiano, appaiono fuoriluogo le manifestazioni di giubilo dei rappresentanti della maggioranza che si limitano a guardare alla parte del dispositivo che considerano un’assoluzione per Forza Italia.
Sul fronte di chi è impegnato nella lotta contro le mafie e il loro sistema di rapporti (quella che ormai si usa definire “borghesia mafiosa”, ma le analisi di chi scrive per decenni sono state considerate frutto di pregiudizi veteromarxisti), la sentenza non può non suscitare reazioni articolate. Certo, è un fatto gravissimo che un personaggio come Dell’Utri sia stato riconosciuto colpevole anche in appello, ma c’è ancora la Cassazione, però quella luce che ci si aspettava sul periodo delle stragi, dopo l’esito dei processi che hanno colpito gli esecutori (ma a quanto pare qualcuno era un falso “pentito”) e i mandanti interni e lasciato in ombra i mandanti esterni, non è venuta neppure questa volta. Verrà dai processi che si terranno prossimamente?
Negli ultimi mesi sono emerse le compromissioni di uomini delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, chiamati in causa anche dal figlio di Vito Ciancimino, ma bisognerà vedere se tutto quello che si è detto sulla “trattativa” riuscirà a passare il vaglio del giudizio penale.
Contrariamente a quello che si dice, le trattative tra mafiosi e uomini delle istituzioni non sono una novità ma fanno parte della storia della mafia e del nostro Paese. Ma finora le verità storiche non hanno avuto conferma sul piano giudiziario. Gli scheletri nell’armadio caratterizzarono la nascita della prima repubblica, con la strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947, e nello stesso mese cadde il governo di coalizione antifascista e ebbe inizio il mezzo secolo di potere democristiano, e caratterizzano il passaggio alla seconda repubblica e all’avventura berlusconiana. Il guaio è che sia la Dc che Berlusconi hanno goduto e godono di un ampio consenso elettorale e oggi, rispetto al passato, il quadro è peggiorato perché non c’è più un’opposizione adeguata e le forze di sinistra si sono dissolte. L’Italia è stato un Paese a democrazia limitata, oggi corre il rischio di essere una democrazia espropriata. La difesa di principi fondamentali della Costituzione, dall’informazione all’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, richiede una presa di coscienza e una mobilitazione che finora sono state incerte e minoritarie.

Pubblicato su “Riforma”, 9 luglio 2010.