Oratoria forense
Oratoria forense
prot. 25/2001 palermo, 3. 03. 2001
Un modello di oratoria forense
Nel processo contro Vito Palazzolo per l’omicidio Impastato, il difensore dell’imputato pronunciando la sua arringa ha esordito con un geniale coup de théâtre: ha chiesto l’incriminazione per falsa testimonianza di Giovanni Impastato, il quale nell’audizione davanti alla Commissione antimafia ha dichiarato che il sangue del fratello apparteneva a un gruppo sanguigno “molto raro”. Invece dalle analisi risulta che il sangue di Peppino, come pure delle tracce trovate nel casolare vicino ai binari, apparteneva a un gruppo sanguigno (0-CD) che è del 30-32 per cento della popolazione. Secondo l’avvocato non si tratta di un’imprecisione dovuta a scarse cognizioni ematologiche, ma di un falso dolosamente intenzionato a influenzare la Commissione, ergo Giovanni Impastato dovrebbe essere punito come un pericoloso mentitore.
L’arringa del difensore dovrebbe essere pubblicata integralmente e proposta come modello di oratoria forense all’alba del terzo millennio, per la logica stringente delle argomentazioni e ancora di più per il sapiente dosaggio delle citazioni di testi e documenti. Qualche esempio: Onda pazza sarebbe satira contro la mafia? Macché. Era solo una sequela di parolacce irriferibili (per rispetto alle signore giudici popolari) e bestemmie contro la Vergine. Peppino e i suoi compagni denunciavano i traffici di Badalamenti e irridevano il capomafia? Niente affatto. Già Badalamenti, da perfetto buontempone, ha dichiarato che sentirsi chiamare “Tano seduto” non lo offendeva per nulla; anche l’avvocato spesso si sente chiamare “Perry Mason” e la cosa non può che fargli piacere. Che Peppino fosse un terrorista lo dicono fior di ufficiali dei carabinieri e alti magistrati (qui non poteva mancare l’elogio alle benemerenze di illustri rappresentanti delle istituzioni, ad arginare le offensive insinuazioni del pubblico ministero e delle parti civili) e l’avvocato brandisce un rapporto dell’allora maggiore Tito Baldi Honorati, che nel giugno del 1984 scriveva: “Le indagini molto articolate e complesse svolte all’epoca da questo Nucleo operativo hanno condotto al convincimento che l’Impastato Giuseppe abbia trovato la morte nell’atto di predisporre un attentato di natura terroristica. L’ipotesi di omicidio attribuito all’organizzazione mafiosa facente capo a Gaetano Badalamenti operante nella zona di Cinisi è stata avanzata e strumentalizzata da movimenti politici di estrema sinistra ma non ha trovato alcun riscontro investigativo…”. Qui l’avvocato si ferma e si guarda bene dal continuare la lettura del testo, che così prosegue: “…ancorché sposata dal Consigliere Istruttore del tribunale di Palermo, dr. Rocco Chinnici a sua volta, è opinione di chi scrive, solo per attirarsi le simpatie di una certa parte dell’opinione pubblica conseguentemente a certe sue aspirazioni elettorali, come peraltro è noto, anche se non ufficialmente ai nostri atti, alla scala gerarchica”. Rocco Chinnici, il magistrato che ha avviato i lavori del pool antimafia che hanno consentito il raggiungimento di risultati storici nella lotta giudiziaria contro la mafia, uno degli uomini più limpidi che l’Italia abbia conosciuto in anni molto duri, era morto il 23 luglio del 1983 e a meno di un anno dalla strage di via Pipitone Federico il maggiore scriveva di “aspirazioni elettorali” che sarebbero state alimentate dalle “simpatie” di una decina di persone (forse di meno, certamente non di più) che allora si battevano per fare luce sulla morte di Impastato.
Si potrebbe continuare con cento altri passaggi e con sbottamenti del tipo: “La relazione della Commissione antimafia? La solita pastetta degli amici di Impastato”, e anche chi scrive, deponendo come testimone al processo contro Badalamenti, ha vanamente ricordato che è stata approvata all’unanimità, ma sarà bene fermarsi qui. Il processo a Palazzolo si concluderà presto ma quello a Badalamenti avrà vita più lunga e avremo ancora modo di apprezzare l’oratoria del difensore, sedendo tra il pubblico, dato che la richiesta del Centro Impastato di costituirsi parte civile non è stata accolta, e invidiando il nutrito stuolo di praticanti che apprendono da lui l’arte di Demostene e di Cicerone.
Umberto Santino