TRE MESI DI ARRESTI, FERMI E INDAGINI ANTIMAFIA
Centinaia gli affiliati e fiancheggiatori bloccati
di Giovanni Burgio
Nelle 14 operazioni antimafia portate a termine negli ultimi tre mesi sono finite in carcere 202 persone, 67 agli arresti domiciliari, 21 con obbligo di firma, 400 indagate. Quasi 700 pedine direttamente o indirettamente mosse da Cosa Nostra siciliana che non intende lasciare il suo potere sul territorio e non vuole fermare i suoi affari illeciti.
Colpisce la suddivisione in due della geografia di queste ultime 14 retate: solo 3 a Palermo, il resto tutte nella Sicilia orientale (6 nel catanese, 3 nel messinese, 1 nel siracusano), con eccezione di una al centro nell’ennese. Insomma, la conferma della storica differenza che c’è nell’economia siciliana e si ripercuote anche dentro Cosa Nostra: la facoltosa propensione agli affari della sponda ionica a fronte della tendenza alla stasi della Sicilia occidentale. E in questo senso emerge il settore del gioco d’azzardo e delle scommesse on line al centro delle inchieste e dei sequestri.
A Palermo, invece, ci sono conferme e contraddizioni. Accanto al rigido ed esclusivo controllo del territorio da parte dei titolati mandamenti di Pagliarelli e Borgo Vecchio, si segnala il vuoto e il conseguente disordine lasciato dai boss che vanno in carcere (sparatoria allo ZEN).
Spicca in modo particolare il messinese, che di provincia “babba” non ha nulla, anzi. Gode di giovani ventenni che spacciano tranquillamente a Taormina e Giardini Naxos, vanta bande rivali che si sparano ferocemente nel rione Giostra di Messina.
L’operazione “Sipario” a Catania ha svelato uno dei tipici aspetti della mafia siciliana: la contiguità fra istituzioni e mafia. Un vice brigadiere della Guardia di Finanza e tre vigili urbani che abusando della loro divisa intimidiscono e falsano documenti pubblici a favore delle cosche mafiose.
Il 4 maggio tutti i telegiornali e le news on line sbandieravano la vittoriosa rivolta contro il pizzo di Giuseppe Condorelli, il principe dei torroncini siciliani. Peccato che nell’inchiesta che ha visto la ferma e decisa posizione di Condorelli, altri e più numerosi imprenditori e commercianti facevano affari con i boss, ottenevano la loro protezione, li consigliavano su come riciclare il denaro sporco.
Insomma, la lotta contro Cosa Nostra, nonostante le numerose operazioni di polizia e le centinaia di arresti e fermi, è ancora lunga e difficile.
In tutt’Italia una rete di 887 agenzie di scommesse on-line
TRA LINERI, MALTA E POLONIA VIAGGIAVANO FIUMI DI DENARO
3 marzo 2021: 12 arrestati, 2 ai domiciliari, 336 indagati.
A Lineri, Misterbianco, i fratelli Carmelo e Giuseppe Gabriele Placenti, clan mafioso catanese Ercolano-Santapaola, avevano ideato un sistema abbastanza efficiente per raccogliere illecitamente denaro contante, sfuggire ai controlli italiani e costruirsi un piccolo impero di attività economiche.
Infatti, le 887 agenzie di scommesse sportive e giochi sparse in tutto il territorio nazionale solo in minima parte puntavano sulle giocate on-line. La vera ricchezza si accumulava attraverso le scommesse “da banco”, ovvero quelle effettuate in presenza e in contanti. Una massa di denaro di 32 milioni di euro che poi veniva trasferita in Polonia e a Malta. Da qui tornava di nuovo in Italia, in Emilia Romagna e Puglia, sotta forma di acquisti di terreni, fabbricati e attività produttive.
Tutta la rete di gioco on-line era senza autorizzazione italiana, e mentre server e software venivano gestiti da ingegneri informatici in Serbia, la proprietà della piattaforma “Raisebet24.com” era maltese proprio per rendere più difficile il tracciamento del legame con l’Italia e la rete criminale.
Mercoledì 3 marzo 12 persone sono andate in carcere, 2 agli arresti domiciliari e a 9 è stato interdetto l’esercizio dell’attività commerciale. 336 sono gli indagati. L’operazione “Doppio gioco”,iniziata nel 2015, ha bloccato 80 milioni di euro di beni patrimoniali, 62 di disponibilità finanziarie, 180.000 euro in contanti.
“La mafia da tastiera” andava così bene che doveva espandersi pure nella Sicilia occidentale. I due fratelli Placenti, infatti, stavano fornendo il necessario know-how al nipote di Matteo Messina Denaro, Francesco Guttadauro.
Fermati 15 appartenenti al clan Scalisi di Adrano
OPERAZIONE “TRIADE”
6 marzo 2021: 14 arresti, 1 ai domiciliari.
Ad Adrano, nel catanese, le operazioni di polizia e carabinieri si susseguono senza sosta. Agli arresti del 10 e 23 febbraio si aggiungono infatti quelli del 6 marzo. I due clan mafiosi degli Scalisi e Santangelo-Taccuni hanno visto così decimati i propri aderenti nel giro di un mese.
Il 6 marzo è toccato in particolare alla famiglia Scalisi subire le misure restrittive, 14 in carcere, uno ai domiciliari.
L’origine dell’operazione “Triade” sembra scaturire dal pentimento di un pezzo da 90 del clan, Salvatore Giarrizzo, che nelle sue dichiarazioni rivela storia, organigramma e responsabilità degli uomini della cosca.
Da sempre vicino alla famiglia di Adrano, Giarrizzo viene nominato responsabile dei vari affari illeciti da Salvatore Calcagno, nipote del capo-clan Giuseppe Scarvaglieri in carcere al 41 bis.
Il Calcagno viene descritto da Giarrizzo come un vero e proprio uomo-ombra, che comanda ma non si fa vedere, che è responsabile ma non agisce in prima persona. Un moderno deus ex machina, ma della criminalità.
Chi invece si occupava del “lavoro sporco”, cioè dell’approvvigionamento, spaccio e gestione della droga, era Nuccio Di Stefano, il “King della marijuana” come lui stesso amava definirsi.
Un ruolo di primo piano è quello ricoperto da Massimo Neri, definito l’esattore delle estorsioni. La sua posizione di rilievo è confermata dai rapporti intrattenuti con Antonio Luca Josè Pappalardo, esponente del clan Laudani nel popolare quartiere Canalicchio di Catania. È lui che, saputo del pentimento di Giarrizzo, vuole incendiare il furgoncino di panini della famiglia del pentito; episodio poi realmente accaduto pochi giorni prima degli arresti.
Giarrizzo racconta di un vero e proprio accordo-spartizione fra le due famiglie regnanti ad Adrano, gli Scalisi e i Santangelo. E quando alcuni balordi insidiano il territorio degli Scalisi, gli esponenti delle due famiglie mafiose, rispettivamente appartenenti ai Laudani e ai Santapaola di Catania, si riuniscono in una palestra. Giarrizzo racconta che il summit del 21 agosto 2019, convocato per decidere chi deve spacciare stupefacenti nel centro etneo, in sostanza ha evitato un sanguinoso scontro fra le cosche adranesi.
Un prototipo di rapporti Stato-mafia
OPERAZIONE “SIPARIO”
6 marzo 2021: 2 arresti, 5 ai domiciliari, 3 con obbligo di firma.
Il 6 marzo a Catania è andata in scena una rappresentazione da manuale di storia della mafia. Un referente dei clan, un vice brigadiere della Guardia di Finanza, tre vigili urbani sono stati arrestati perché d’accordo su affari, favori e scambi elettorali. Un malavitoso e quattro uomini delle istituzioni che non solo si proteggono a vicenda, ma cercano di sviluppare rapporti economici di rilievo.
Orazio Buda è un imprenditore, ma anche cugino del boss Orazio Privitera appartenente al clan Cappello-Carateddi. Mauro Massari, invece, è vice brigadiere della Guardia di Finanza e vice presidente della circoscrizione “Librino” del comune di Catania; il “re delle preferenze” veniva chiamato, essendo stato eletto nelle liste di Forza Italia con quasi mille voti.
I due avrebbero stretto un patto elettorale grazie al quale il Buda avrebbe fatto eleggere Massari, mentre quest’ultimo, oltre a varie agevolazioni, avrebbe cercato di far assegnare ad una ditta vicina al Buda un appalto di 6 milioni di euro per lavori nel Porto di Augusta. Chiaramente Massari in questo affare avrebbe fatto valere il peso della sua divisa, così come i suoi poteri di vice brigadiere sarebbero stati utilizzati anche per danneggiare un piccolo imprenditore. Un tipico scambio mafia-istituzioni.
Ma Buda intratteneva anche altri rapporti con uomini dello Stato. Infatti, oltre ad avere avuto contatti con altri esponenti politici, Buda, per favorire alcuni suoi stretti congiunti, avrebbe chiesto a tre appartenenti alla Polizia municipale di Catania di falsificare le certificazioni per ottenere la casa popolare.
L’operazione “Sipario” ha interrotto questa serie di collegamenti fra “guardie e ladri”, e ha portato in carcere 2 persone, 5 agli arresti domiciliari, 3 all’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, 12 interdetti a svolgere attività commerciali. Nei giorni successivi agli arresti, a Buda, che è rimasto in carcere, non è stata riconosciuta l’appartenenza al clan Cappello, e inoltre gli sono state restituite le società inizialmente sequestrate.
Particolarmente interessante il colloquio fra il Buda e Massari quando quest’ultimo manifesta la preoccupazione di non essere eletto; Buda lo rassicura “Il tuo concorrente c’è lo sbattiam… Stai tranquillo… lascialo stare… Qui ci siamo noi”.
Feste rionali e tifo allo stadio controllati dai boss
LA MAFIA DI BORGO VECCHIO A PALERMO
25 marzo 2021: 1 arresto, 13 domiciliari, 2 obblighi di firma, 5 indagati a piede libero.
Salvatore Buongiorno, impiegato nel settore cimiteri del comune di Palermo, l’unico arrestato nell’operazione “Resilienza 2”, era il ras delle feste patronali di quartiere del mandamento mafioso di Porta Nuova. Sottomesso ai capi Lo Presti e Di Giovanni e d’accordo con il reggente della famiglia di Borgo Vecchio Angelo Monti, stabiliva i cantanti e la paga dei neomelodici da far esibire, raccoglieva i soldi necessari per organizzare la festa, decretava i posti dove si sarebbero messi i venditori ambulanti.
UN QUARTIERE SOTTO SCACCO
Un potere apparentemente “povero”, limitato alle canzoni in piazza si direbbe. In realtà, invece, era un controllo strettissimo di commercianti e attività economiche che non potevano esimersi dal versare le quote per sponsorizzare la festa. E non solo a Borgo Vecchio ma anche in Corso Finocchiaro Aprile.
L’altro settore interamente sotto l’egida della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio è quello del tifo calcistico organizzato. Giovanni Johnny Giordano è il personaggio “anziano” che gestiva curve e gradinate dello stadio Barbera. Ultimamente, però, gli è subentrato Giorgio Mangano, più capace di garantire “la pace” tra le varie tifoserie, vero obiettivo dei boss. Ma la cosca di Borgo Vecchio non si limitava a offrire biglietti gratis, entrate di favore e fotografie con i calciatori. Giordano, infatti, custode dentro lo stadio nell’era Zamparini, forniva notizie tempestive e di prima mano sulla costruzione del centro commerciale Conca d’Oro. Quindi accanto al potere pervasivo, capillare, sulla vasta platea dei tifosi nei quartieri, c’è sempre il grande interesse economico produttore d’ingenti ricchezze degli uomini di Cosa Nostra.
MASSIMILIANO INGARAO
Ma la figura centrale, di spessore, che emerge dalle due inchieste di ottobre 2020 e marzo 2021, è senz’altro quella di Jari Massimiliano Ingarao. Figlio di Nicola, ucciso il 13 giugno 2007 dai Lo Piccolo perché sospettato di tradimento, è anche nipote di Angelo Monti capo famiglia di Borgo Vecchio, di cui avrebbe preso il posto in questi ultimi mesi.
Il giovane Ingarao, oltre ad interessarsi affinché allo stadio non ci fossero scontri e risse e a organizzare attraverso Buongiorno la festa di Sant’Anna al Borgo, soprattutto, aveva in mano, assieme agli altri due fratelli, l’intero traffico di droga nel quartiere.
UNA BRUTALITA’ SCONCERTANTE
Durante le indagini è emerso un caso particolarmente sconcertante. Un uomo non solo faceva prostituire la sua compagna, ma stabiliva per lei appuntamenti, tariffe, modalità dell’incontro. Preparava perfino la biancheria intima da indossare. E se lei era stanca, lui insisteva perché continuasse il suo “lavoro”. Un’abiezione senza fine.
Due famiglie si contendono il quartiere: sei arresti
LA SPARATORIA DELLO ZEN
30 marzo 2021: 6 arrestati.
Martedì 23 marzo allo ZEN di Palermo è accaduta nella realtà una di quelle puntate della serie “Gomorra” che da qualche tempo si possono vedere in TV.
Due gruppi familiari, i Colombo e i Maranzano, orfani del loro capo Giuseppe Cusimano arrestato il 26 gennaio, si sono contesi a calci, pugni e pistolettate il dominio sul quartiere. Una famiglia mafiosa giovane quella dello Zen-Pallavicino, che rimasta priva di comando dà luogo a scontri per la successione.
La novità, però, è che si è rotto il muro dell’omertà che circonda sempre questi fatti di mafia. Ed è stata una donna, la compagna di Giuseppe Colombo, quella che per prima ha parlato, trascinandosi poi anche il compagno a fare il passo decisivo per interrompere la spirale di violenza.
Alle 10 del mattino, un gesto scherzoso fatto all’uscita dal bar da uno dei Colombo genera la risposta violenta dei Maranzano, e tutto sembra finire lì. Invece questi ultimi riuniscono parenti e amici e preparano l’imboscata. Qualche ora dopo un falso paciere convoca un incontro chiarificatore al quale i Colombo si presentano con l’intenzione di chiudere la questione. I Maranzano, al contrario, arrivano in forze con cinque macchine e diversi motori, e senza troppi discorsi iniziano a sparare, ferendo due dei Colombo.
Per fare luce sull’accaduto decisivo è stato l’intervento della donna, che prima ha chiamato le forze dell’ordine avvertendo dell’imminente sparatoria e poi ha raccontato tutto quanto era successo avendolo vissuto direttamente. Anche il compagno, Giuseppe Colombo, dapprima riottoso a collaborare, ha confermato quanto era accaduto.
In carcere sono finiti i due fratelli Pietro e Letterio Maranzano, un loro cugino e un cognato. Ma anche Giovanni Cefali e Nicolò Cefali, padre e figlio, che hanno avuto un ruolo decisivo nell’agguato contro i Colombo.
L’arresto di Giuseppe Calvaruso
LO STATO AUTONOMO DI PAGLIARELLI
Lunedì 5 aprile: 7 arresti, 8 indagati.
Quello che certifica l’operazione Brevis è l’esistenza di un’autorità autonoma all’interno dello Stato italiano, con propri controlli, interventi punitivi, giustizia riconosciuta e rispettata. Un sistema parallelo a quello ufficiale, più efficiente e rapido. Cosa Nostra viene così ad esercitare un potere effettivo e supremo su una parte estesa del territorio statale.
CALVARUSO DOMINUS TERRITORIALE
Giuseppe Calvaruso, dopo l’arresto di Settimo Mineo, è il dominus assoluto del mandamento mafioso di Pagliarelli a Palermo.
Francesco Paolo Bagnasco si rivolge a Giovanni Caruso, braccio destro di Calvaruso, per riavere i soldi e avere vendetta delle due rapine subite nel suo negozio di detersivi ad Altofonte. Passano pochi giorni e i tre colpevoli vengono individuati e pestati a sangue.
Ad una giovane donna viene rubata l’auto al villaggio Santa Rosalia. Il padre si rivolge a un commerciante che ha i contatti con chi controlla il territorio. Anche in questo caso interviene Caruso che in poche ore risolve il caso: la lancia Y ritorna ai proprietari.
I locatari del pub Lord Green non pagano l’affitto? Filippo Bisconti, capomafia pentito di Belmonte Mezzagno, ne parla con Settimo Mineo e Giuseppe Calvaruso. Dopo due mesi di trattative proprietario del locale e affittuari finalmente si mettono d’accordo.
“L’IMPRENDITORIALITA’” DI CALVARUSO
Ma oltre ad esercitare il potere di controllo, della sicurezza e giudiziario di Cosa Nostra a Pagliarelli, Giuseppe Calvaruso era diventato un vero e proprio uomo d’affari, con un fiuto particolare verso le grosse speculazioni edilizie.
In Brasile, visto che si possono acquistare a pochissimo prezzo vasti territori, cerca di agganciarsi alla società Mia casa, mia vida per gestire la costruzione di centinaia di case.
Poi, con i soldi di un imprenditore di Singapore, Lai Chong Meng, e grazie alla mediazione di Giovanni Spanò, avrebbe portato a termine alcune operazioni altamente redditive su immobili di pregio a Misilmeri, nel centro storico di Palermo e a Boccadifalco.
Ma anche a Riccione, in Sardegna, a Marsala e a Vulcano, Calvaruso avrebbe esercitato la sua capacità imprenditoriale per far decuplicare i suoi investimenti iniziali. Oltre a ottenere a Palermo le commesse per la ristrutturazione di diversi locali di importanti marchi e gruppi commerciali (Hessian, Yamamay, Wycon).
Ma l’operazione economica più “elegante e raffinata” è senza dubbio quella che coinvolge il lussuoso ristorante Carlo V di piazza Bologni a Palermo. Formalmente gestito da Giuseppe e Benedetto Amato, in realtà era nella piena disponibilità di Calvaruso. Da quando ne è entrato in possesso ha fatto lievitare il reddito netto da 16.415 a 71.578 euro in un solo anno e ha aumentato i dipendenti da 5 a 21 in due anni.
Il ristorante è stato sequestrato, ma anchela società “Edil professional”, tre conti correnti, una carta bancomat, una Porsche, un Range Rover e un gommone da 300 cavalli. Valore stimato: due milioni e mezzo di euro.
Operazione “Provinciale”
A MESSINA TRE BOSS GESTISCONO DROGA E SCOMMESSE ON-LINE
9 aprile 2021: 21 in carcere, 10 agli arresti domiciliari, 2 con obbligo di firma.
A Messina centro comandavano in tre: Giovanni Lo Duca nel rione Provinciale, Salvatore Sparacio a Fondo Pugliatti, Giovanni De Luca a Maregrosso.
Lo Duca, dopo 13 anni di carcere, era tornato a esercitare il suo potere territoriale avendo come base operativa il bar della sorella. E da lì risolveva le controversie fra criminali, pianificava le estorsioni, organizzava pestaggi e spedizioni punitive.
Sparacio, invece, stava alla sala giochi “Asd biliardi sud”. Forte dei suoi rapporti con alcun maltesi gestori di noti brand, aveva messo su un piccolo impero del gioco d’azzardo e scommesse on-line. E la sua abilità faceva andare così bene gli affari che sia Lo Duca che il clan catanese dei Santapaola si sono rivolti a lui per entrare in questo settore.
De Luca con questo arresto ha concluso la sua latitanza. Si occupava prevalentemente del controllo e della sicurezza nei locali notturni e del traffico degli stupefacenti.
Durante le indagini è emerso anche un caso di corruzione elettorale. Il candidato alle elezioni comunali del 2018 Natalino Summa ha offerto 10.000 euro a Sparacio al fine di procurargli i voti per essere eletto. I 350 “consensi” raccolti, però, non sono stati sufficienti a farlo eleggere al Consiglio comunale.
Il bar e la sala da giochi sono stati sequestrati.
UN PENTITO E 14 ARRESTI
A Catania guerra tra bande con raid e spedizioni punitive
20 aprile 2021: 14 persone arrestate.
Alessio Bertucci, affiliato al clan mafioso catanese dei Cappello, si pente e fa piena luce sulla sparatoria dell’8 agosto 2020.
Il suo racconto inizia da quando Melo Di Stefano, dei “Cursoti milanesi”, in via Diaz prende a colpi di casco un componente della famiglia Cappello. Il clan colpito si riunisce d’urgenza e qualche ora dopo organizza il raid di vendetta. 14 moto e scooter si dirigono così verso Librino, roccaforte dei Cursoti. Dopo alcuni giri a vuoto nel quartiere, in viale Grimaldi avviene lo scontro finale fra le due bande. Due morti è l’esito della brutale resa dei conti. Bertucci, che ha preso parte al conflitto, rimane ferito, e fingendosi morto riesce a evitare il colpo di grazia dei killer avversari.
Questa testimonianza diretta di Bertucci ha fatto scattare l’Operazione Centauri che ha portato in carcere 14 persone.
A Leonforte in provincia di Enna
DROGA ED ESTORSIONI
21 aprile 2021: 30 arresti.
L’operazione “Caput silente”, che ha fatto scattare 30 provvedimenti di custodia cautelare in carcere, è la naturale prosecuzione dell’indagine del 2014 denominata “Homo Novus”. Allora quell’inchiesta fece emergere la nascita di una nuova famiglia di Cosa Nostra nella zona nord della provincia di Enna, a Leonforte, a capo della quale c’era Giovanni Fiorenza e i suoi figli.
Con questa nuova retata, non solo si è sequestrata un ingente quantità di stupefacenti, ma si è dato un duro colpo a questo traffico che la famiglia Fiorenza gestiva in regime di monopolio. Ma soprattutto si è arginato il fenomeno estorsivo. Nel corso delle indagini, infatti, si sono documentati parecchi danneggiamenti ad imprenditori aderenti a un’associazione antiracket e anche a due poliziotti. E le modalità di queste intimidazioni erano il taglio delle gomme delle auto e l’incisione di croci nella carrozzeria.
Nel corso delle indagini si è sventato anche un omicidio nei confronti di uno spacciatore insolvente.
I VENTENNI DELLO SPACCIO
Smantellata una capillare rete nella riviera ionica messinese
28 aprile 2021: 13 arrestati e 13 ai domiciliari.
Gli alleati storici di Cosa Nostra, il clan Brunetto di Giarre, e i referenti dei Cappello di Catania, i Cintorino di Calatabiano, avevano raggiunto l’accordo e si spartivano locale per locale lo spaccio di cocaina, hashish e marijuana. Un’organizzazione capillare ed efficiente che si avvaleva soprattutto di giovanissimi pusher spregiudicati.
È il pentito Carmelo Porto, uomo di vertice del clan Cintorino, che ha rivelato gli accordi fra i clan e la rete dello smercio di droga nei night club alla moda.
Il territorio interessato dall’inchiesta “Alcantara” è quello della riviera ionica siciliana: dai “ricchi” centri di Taormina e Giardini Naxos, ai meno famosi comuni di Francavilla di Sicilia, Motta Camastra, Graniti, Malvagna, Roccella Valdemone, Mojo Alcantara, Gaggi, Fiumefreddo.
Naturalmente chi non riusciva a pagare la droga veniva malmenato e chi era sospettato di essere un confidente della polizia era riempito di botte. Tutto secondo il consueto copione dei clan mafiosi della Sicilia orientale.
LA SCAMPIA DI MESSINA
Nel quartiere Giostra guerra fra clan e smercio di droga
4 maggio 2021: 28 arresti, 11 ai domiciliari, 13 con obbligo di firma.
La guerra fra clan è iniziata nel 2016. Sparatorie nei bar, incendi di macchine, attentati alle persone. I Bonanno e gli Arrigo si contendevano il popolare quartiere Giostra di Messina per controllare l’enorme traffico di stupefacenti che era operativo giorno e notte, movimentando centinaia e centinaia di venditori, pusher, consumatori-spacciatori.
“Era la Scampia di Messina” ha detto il collaboratore di giustizia Giuseppe Minardi. Il quartiere era monitorato centimetro per centimetro da telecamere direttamente collegate nelle case dei boss, dalle vedette collocate agli angoli delle strade, dai segnali fra i vari condomini, dagli stessi clienti-consumatori che avvertivano l’eventuale arrivo della polizia. E della distribuzione della droga e della vendita al dettaglio si occupavano, oltre a interi nuclei familiari, anche le mogli dei capi degli Arrigo e dei Bonanno.
L’operazione “Market Place” ha documentato oltre 1.000 episodi di attività di vendita di stupefacenti nelle case popolari di via Seminario Estivo, facendo definire quindi il rione Giostra come una vera e propria “centrale dello spaccio”.
La sproporzione fra redditi dichiarati e beni posseduti da alcuni degli indagati ha portato al sequestro preventivo di appartamenti, garage, auto, moto e conti correnti.
GLI IMPRENDITORI FIANCHEGGIATORI
Condorelli è purtroppo un’eccezione
4 maggio 2021: 40 arresti.
La rivolta di Giuseppe Condorelli contro il pizzo ha fatto notizia, ma la realtà emersa dall’operazione “Sotto scacco” è un’altra. Un commercio e un’economia profondamente sporchi e fortemente alterati dalla violenza mafiosa. Commercianti e imprenditori che fiancheggiano e favoriscono gli affari illeciti dei clan.
GLI IMPRENDITORI COMPIACENTI
Angelo Nicotra, proprietario di alcune gioiellerie, non solo avrebbe permesso a Pietro Puglisi, uomo di vertice del clan Assinnata di Paternò, di riciclare denaro facendogli acquistare in nero, senza alcuna certificazione fiscale, diamanti, gioelli e orologi, ma, come un vero e proprio consulente finanziario, gli avrebbe suggerito di acquistare lingotti d’oro all’estero. E all’occorrenza avrebbe rivenduto i preziosi per procurare denaro liquido al boss.
Salvatore Tortomasi, titolare di un’impresa di ortofrutta, avrebbe favorito la famiglia Amantea di Paternò versando proprie quote di utili al clan e permettendogli di concludere affari in modo occulto. In cambio ha ottenuto “la protezione” della cosca sia verso i concorrenti sia per i problemi con i creditori.
L’ORGANIGRAMMA DEI CLAN
“Sotto scacco” ha permesso di scoprire nelle provincie di Catania, Siracusa, Cosenza e Bologna, l’organigramma dei clan di Paternò e Belpasso legati al potente clan mafioso catanese dei Santapaola – Ercolano. Oltre all’individuazione della posizione di vertice del boss Santo Alleruzzo, è emerso che la famiglia di Paternò è composta da tre componenti: gli Alleruzzo, gli Assinnata, gli Amantea. A Belpasso, invece, ci sono Barbaro Stimoli e Daniele Licciardello. Ed è stato proprio quest’ultimo che ha chiesto il denaro a Condorelli.
Durante le indagini è venuto alla luce un progetto punitivo di Santo Alleruzzo contro l’avvocato Enzo Trantino, noto esponente politico, colpevole secondo il boss di non essersi adoperato abbastanza per fargli cancellare l’ergastolo.
Le cosche, inoltre, si erano inventate una singolare truffa ai danni dell’INPS: facendo risultare alcuni falsi lavoratori agricoli come disoccupati, incassavano la relativa indennità.
LA NOTA DI SPERANZA
Se il rifiuto di pagare il pizzo da parte di Condorelli è stato da tutti approvato ed esaltato, l’inquinamento del tessuto economico locale, favorito dalla complicità di alcuni imprenditori, risulta quindi predominante e molto diffuso. La speranza di un futuro senza violenze e intimidazioni che il gesto di Condorelli infonde è però forte.
Nel siracusano
COLPO AL CLAN TRIGILA
11 maggio 2021: 13 arresti.
La prosecuzione delle inchieste “Robin Hood” e “Neaton” è sfociata nell’arresto di tredici persone appartenenti al clan Trigila che opera nella zona sud-orientale della provincia di Siracusa.
Gli affari della cosca riguardavano il settore dei trasporti su gomma dei prodotti ortofrutticoli, la produzione di pedane e imballaggi, la produzione e il commercio di prodotti caseari.
Avvalendosi della forza intimidatrice tipica dell’organizzazione mafiosa la famiglia Trigila ha assunto una posizione dominante nei settori sopra menzionati e ha alterato le regole della normale concorrenza.
NEL MIRINO ANCORA LE SCOMMESSE ON LINE
Arrestato Antonio Padovani e sequestrate 38 agenzie
27 maggio 2021: 1 arresto, 12 ai domiciliari, 1 obbligo di dimora, 51 indagati.
L’operazione “Apate” ha portato in carcere il grande manager delle scommesse clandestine in Sicilia Antonio Padovani. In provincia di Catania, Messina, Siracusa, Enna ed Agrigento sono state 38 le agenzie chiuse e sottoposte a sequestro.
Erano i clan Santapaola, Cappello, Bonaccorsi-Carateddi a controllare la vasta rete del gioco d’azzardo e scommesse on line. E insieme alle 38 agenzie sono stati sequestrati i relativi patrimoni aziendali, beni mobili e immobili, conti correnti e rapporti finanziari, per un totale di 30 milioni di euro.
Antonio Padovani, oltre a gestire il gioco d’azzardo, avrebbe favorito gli affari dei clan catanesi dei Santapaola e Cappello.
Pubblicato su Maredolce.com Web Magazine